Diniego del rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia. In sede di rinnovo del permesso, i semplici sospetti negativi e le supposizioni sulla persona non bastano per negare il rinnovo.
Se appartieni al mondo armiero, magari avrai già letto post su questo particolare tema.
Posso dirti che, pur essendo un argomento più e più volte affrontato, rimane sempre attuale visto che i giudici se ne interessano costantemente.
Il Tar per la Puglia non fa eccezione e, proprio pochi giorni fa si è occupato del tema, con la sentenza n. 812 pubblicata il 7 maggio 2021.
Una pronuncia che accoglie il ricorso dell’interessato, che si è visto negare il rinnovo della licenza di porto di fucile ad uso caccia a fronte della presenza di una querela poi subito ritirata e di altri procedimenti penali correlati alla posizione di familiari che però si sono rivelati del tutto inconferenti con l’uso delle armi.
Vediamo, allora, un po’ più da vicino il caso, sempre con l’intento di ricavarne il principio utile per una più ampia platea di persone appartenenti al mondo armiero.
Dunque, con il ricorso un appassionato del mondo venatorio da oltre quarant’anni impugna il decreto del Prefetto di rigetto del ricorso gerarchico e il decreto di diniego del Questore di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia.
In particolare, ne assume la carenza dei presupposti di legge e la grave ingiustizia essendo stato il provvedimento adottato solo sulla scorta di un singolo episodio, che lo ha visto coinvolto in una specie di “discussione” con altro conoscente.
Come sopra anticipato, il ricorso viene ritenuto fondato.
Nella sostanza, il ricorrente contesta che alcuna minaccia è stata mai proferita e che l’Autorità prefettizia non ha motivato la perdita del requisito della “buona condotta”, per di più nei riguardi di un soggetto che da circa quarant’anni è in possesso del titolo di polizia per la caccia.
Pur essendo stato il provvedimento sfavorevole oggetto di ricorso gerarchico, nulla di più l’Autorità di P.S. ha accertato in ordine ai fatti accaduti che hanno comportato la presentazione della querela, poi subito rimessa.
Né sono apparsi pertinenti i riferimenti operati nel provvedimento sfavorevole con riguardo ai prossimi congiunti, moglie e figlio, circa alcuni “deferimenti” operati dalle Autorità di polizia per taluni illeciti penali.
In verità, si era trattato di deferimenti privi di attinenza con l’uso delle armi.
Pertanto, il Tar ha alla fine condiviso i rilievi svolti in ricorso, soprattutto laddove si è considerato che i provvedimenti impugnatati non recano alcuna dimostrazione circa accertamenti autonomi condotti sulla sussistenza materiale delle supposte minacce proferite, per cui non v’è alcuna specifica contezza e certezza in ordine all’accaduto.
Insomma, ritiene il Tar che in casi come questo non possa darsi spazio ai semplici sospetti, supposizioni o a posizioni prudenziali immotivate, soprattutto in sede di rinnovo di un permesso, detenuto il titolo di polizia da decenni senza alcuna menda, quando non vi siano concreti elementi che depongano in senso contrario.
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