Non tutti sanno che gli interessi riconosciuti alla scadenza sui buoni postali possono non coincidere con quanto previsto sul titolo stesso
Che cos’è il buono fruttifero postale
Proviamo a dare una definizione abbastanza generale: si tratta di un prodotto di investimento finanziario anzi, più precisamente, di una forma di risparmio postale se si vuole affiancarli all’altra tradizionale e conosciutissima modalità di risparmio, ossia il libretto postale.
Le caratteristiche dei buoni fruttiferi postali
Il prodotto ha una serie di caratteristiche: vediamo, sempre in generale, le più importanti.
- si tratta di titoli che possono essere sottoscritti e rimborsati presso qualsiasi ufficio postale;
- non sono soggetti a spese particolari;
- all’inizio erano disponibili nella versione cartacea, oggi lo sono in versione dematerializzata con l’appoggio di un rapporto di deposito, sul quale effettuare le operazioni di prelevamento e rimborso;
- le condizioni dell’emissione (variabili anche mese per mese) sono prestabilite a monte e rimangono tali fino al rimborso.
Il caso
Le caratteristiche ormai note dei buoni fruttiferi sono tali che dovrebbero, almeno in teoria, tranquillizzare tutti i sottoscrittori circa l’ammontare del rimborso dovuto alla scadenza, soprattutto riguardo agli interessi.
A quanto pare, però, non è sempre così.
A dircelo è il Tribunale Ordinario di Bologna, seconda sez. civile, con un’interessante sentenza del 19 maggio 2017.
In buona sostanza, l’ammontare degli interessi dovuti alla scadenza (nello specifico su buoni fruttiferi degli anni 80) può non coincidere con quanto indicato nel retro del documento.
Il “trucchetto”, si passi questo termine, è nascosto all’interno di decreti ministeriali successivi alla loro emissione: con questo accorgimento, infatti, gli interessi possono subire variazioni.
E così è stato in pratica.
A nulla è servito un decreto ingiuntivo pur ottenuto dalla titolare, con il quale era stato intimato a Poste Italiane di pagare 9 mila euro stando ai calcoli della stessa e approvati dal Giudice.
In sede di opposizione al decreto ingiuntivo promossa dall’azienda, il Tribunale ha accordato il minore importo di euro 4 mila, sulla base di questi
argomenti:
- i buoni fruttiferi postali emessi da Cassa Depositi e Prestiti e distribuiti da Poste Italiane s.p.a. non sono titoli di credito e neppure titoli di debito pubblico (come solitamente si pensa); nascono invece da un rapporto contrattuale tra le parti, disciplinato dalle condizioni apposte sul documento,
- nel 1983 era in vigore il D.P.R. 156/73 che, all’art. 173, prevedeva che le variazioni dei tassi di interesse potesse essere applicata sia ai buoni emessi successivamente al D.M. sia a quelli precedenti,
- pertanto: in caso di modifica dei tassi successiva all’emissione del buono, la tabella riportata nel retro del titolo si ritiene modificata dal nuovo prospetto.
In pratica
Il Tribunale fa notare che il D.M. in questione ha semplicemente previsto un saggio di interessi meno favorevole rispetto al precedente.
Ciò che lascia sbigottiti è la facilità relativa con la quale lo Stato interviene in corso d’opera su questi rapporti: nel caso esaminato ci dice il Tribunale che non risultano violate neppure le comuni regole della correttezza e della buona fede contrattuale, in quanto le “modifiche” derivano da leggi e atti amministrativi abilitati ad incidere sul contenuto di detti rapporti.
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