Le sentenze che ne parlano
Si tratta di due pronunce molto importanti: la prima del 2016, precisamente la sentenza della Corte di Cassazione n. 6575 del 5 aprile 2016, la seconda la n. 14456 del 9 giugno 2017.
Sentenze che rivedono un po’ quello che era stato l’orientamento (diciamo tradizionale) del 2015.
Il licenziamento discriminatorio
Sulla base quindi delle ultime pronunce diversi sono i casi di licenziamento discriminatorio; esso si configura quando:
- il recesso del datore di lavoro si basa su motivi di fede religiosa o credo politico,
- il lavoratore svolge attività sindacale o appartiene a un sindacato,
- vi sono ragioni razziali,
- di sesso,
- di handicap,
- di età,
- si va a pesare l’orientamento sessuale o le convinzioni personali del dipendente,
- la sieropositività del dipendente,
- altre ipotesi non espressamente previste dalla legge.
Il licenziamento ritorsivo
Questo tipo di licenziamento, stando al richiamato orientamento della Corte, ha a che fare con la rappresaglia vera e propria.
Si tratta di quei casi dove il licenziamento viene intimato in quanto il datore non gradisce determinati comportamenti del lavoratore.
Qui l’atto posto in essere dal datore di lavoro può essere nullo nei seguenti casi
- motivo illecito,
- esclusivo.
In pratica
Secondo la precedente visione della Suprema Corte, la nullità del licenziamento andava vista con modalità estesa: in buona sostanza era una sanzione omnia per ogni condotta del datore (discriminatoria o ritorsiva senza alcuna differenza) che rappresentasse un’illecita reazione di vendetta nei confronti del dipendente, il quale avesse comunque posto in essere una qualsiasi condotta lecita (per esempio nell’esercizio di un suo diritto).
Anche il motivo discriminatorio doveva essere l’unica motivazione del recesso da parte del datore, affinché potesse considerarsi nullo.
Cambio di direzione, invece, con il più recente solco giurisprudenziale.
Ora tra le due fattispecie c’è distinzione:
- la discriminazione deriva da violazioni di norme di diritto
- la ritorsione invece rende il recesso nullo solo se collegato a un motivo illecito, esclusivo o determinante.
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