Un caso da “scuola”: una sentenza del Tar Trento che va tenuta sempre a mente (al di la del risultato in appello), data la sua particolarità ed importanza. Un caso dove il Tar fa anche da Giudice penale.
La vicenda
Partiamo dall’inizio, cercando di semplificare al massimo per facilitare la lettura della questione a dire il vero un po’ complicata.
Dunque: il titolare di una licenza di porto di fucile per uso caccia, in prossimità della scadenza del 2015 ne chiede il periodico rinnovo.
Il Questore però respinge evidenziando che
A) il ricorrente era stato condannato con sentenza del Pretore del 1961 alla pena dell'arresto di cinque giorni ed all'ammenda di Lire 3.200 per il reato di porto abusivo d’armi,
B) l'interpretazione dell'art. 43 del TULPS, espressa dal Consiglio di Stato nel parere di luglio 2014 non consentirebbe alcuna alternativa al diniego - o alla revoca - della licenza di porto d’armi in caso di condanna per i reati indicati, benché nel vigente quadro l'automatismo possa apparire irragionevole con riguardo a reati come il furto o la resistenza all'autorità. Né ci sono altre disposizioni, in particolare quelle sugli effetti della riabilitazione, che consentano deroghe.
La tesi del ricorrente
Il ricorrente, dal canto suo, sottolinea di aver sempre ottenuto i rinnovi della licenza dopo la vecchia sentenza di condanna.
Inoltre, pensa sia importante il fatto che ha avuto la riabilitazione.
Impugna quindi il provvedimento di diniego e, deciso a cercare giustizia, porta la vicenda all’attenzione della Magistratura.
In particolare, secondo il ricorrente:
C) la motivazione della Questura ispirata da un orientamento del Consiglio di Stato, in base al quale la mera sussistenza di una sentenza di condanna pronunciata ex art. 43 comma 1 del TULPS sarebbe automaticamente ostativa al rinnovo della licenza (indipendentemente dalla valutazione in concreto della condotta) non è condivisibile, considerato il principio di proporzionalità cui l'azione amministrativa deve ispirarsi,
D) peraltro l'orientamento seguito dall'amministrazione è contraddetto e superato da un altro e più recente insegnamento (Cons. di Stato, sez. III, n. 1072/2015) con cui il Giudice d'Appello avrebbe confermato il carattere non "ostativo" di condanne assai risalenti nel tempo, in presenza di un successivo buon comportamento esente da mende, trovando anche applicazione gli effetti dell'istituto della riabilitazione penale.
Seguendo questo ragionamento, l'autorità di pubblica sicurezza, prima di assumere il provvedimento di diniego, avrebbe dovuto vagliare i profili di affidabilità e sicurezza riferiti alla condotta dell'interessato.
La tesi dell’Amministrazione dell’Interno
Spostandoci sul fronte opposto, la posizione dell’amministrazione è semplicissima e, a suo dire, c’è poco da fare:
E) il potere dell’amministrazione è vincolato in presenza di condanne riportate per i reati previsti dall’art. 43 TULPS,
F) la discrezionalità è invece riservata all’eventuale presenza di condanne per reati diversi.
Per inciso, la rilevanza degli effetti favorevoli al condannato scaturenti dall'intervenuta riabilitazione, è limitata al diverso ambito definito nell'art. 11 del TULPS in materia di autorizzazioni di polizia, senza alcuna possibilità di estensione alle diverse e più rigorose fattispecie, di carattere speciale in tema di porto d’armi, disciplinate nel diverso art. 43.
Il problema da risolvere
Il succo della questione eccolo qua.
Si ripresenta il problema della legittimità dei provvedimenti con cui l'autorità di pubblica sicurezza nega il rinnovo della licenza di porto di fucile a causa di una condanna per reati ritenuti ostativi, ex art.43 TULPS, commessi svariati anni prima, anche in presenza dell'ottenuta riabilitazione.
Ebbene, il Tar Trento propone a questo punto una soluzione tanto originale quanto utile e, per arrivarci, passa pazientemente in rassegna tutti gli orientamenti del Consiglio di Stato e poi … reinterpreta la sentenza penale dell’epoca.
L’orientamento del C.d.S. di marzo 2015
La prima considerazione che fa riguarda l’orientamento del Consiglio di Stato formatosi nel marzo 2015: in pratica stando a questa visione l'effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio delle condanne penali di cui all'art. 43 TULPS, viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione e, più precisamente, viene meno l'automatismo.
Aggiungendo che la condanna, per quanto remota e superata dalla riabilitazione, non perde la sua rilevanza in senso assoluto ma perde l'automatismo preclusivo e può essere semmai posta a base di una valutazione discrezionale.
L’orientamento del C.d.S. di maggio 2016
Andiamo avanti: il pensiero dei Giudici cambia.
L'art. 43, primo comma preclude il rilascio di licenze di porto d'armi (e impone la revoca di quelle già rilasciate) nei confronti di chi sia stato condannato per uno dei reati indicati dal medesimo primo comma (in particolare alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, ovvero a una pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico), anche nel caso in cui egli abbia ottenuto la riabilitazione.
L'autorità amministrativa non deve disporre senz'altro la revoca della già rilasciata licenza, ma può valutare le relative circostanze ai fini dell'esercizio del potere discrezionale, qualora il giudice penale abbia disposto la condanna al pagamento della pena pecuniaria in luogo della reclusione, o abbia escluso la punibilità per tenuità del fatto nel caso di commissione di un reato per sé ostativo al rilascio o al mantenimento di licenze di portare le armi.
L’orientamento del Tar Trento del 2017
Il Collegio, fatto tesoro dell’orientamento giurisprudenziale del CdS, pensa che è il caso di riesaminare nel merito la sentenza penale pronunciata dal Pretore nel 1961, al fine di verificare le circostanze emergenti dalla stessa.
Da questa rilettura, a parte le ammende irrogate (Lire 3.200) per le contravvenzioni agli artt. 7 e 43 del r.d. n. 1016/1939 (T.U. delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia) peraltro successivamente sostituite con sanzioni amministrative, emerge che il ricorrente era stato sorpreso, nell'anno 1960, appena compiuto il diciottesimo anno di età "in attitudine di caccia", recando con sé un fucile di caccia e sprovvisto della licenza di porto d'armi, e per tale fatto condannato, per la
contravvenzione alla pena di cinque giorni d'arresto, a fronte di una pena edittale detentiva all'epoca stabilita, per tale reato, "fino a sei mesi", ottenendo altresì il beneficio della non menzione.
Ora: quanto alla (minima) pena detentiva inflitta, essa rientra abbondantemente entro il limite (sei mesi) fissato, sia pur successivamente, dal legislatore per la sostituzione con la pena pecuniaria.
Per quel che riguarda le modalità della condotta e l'entità del danno, esse appaiono oggettivamente circoscritte a profili di particolare tenuità, dovendosi altresì considerare, sotto un aspetto soggettivo, la giovane età dell'autore e la non abitualità del comportamento sanzionato.
Quindi il Collegio è dell'avviso che il diniego al rinnovo della licenza di porto d'armi non poteva essere disposto semplicemente in relazione alla natura "ostativa" del risalente reato per il quale il ricorrente aveva riportato la condanna, dovendosi invece ritenere l'autorità di pubblica sicurezza gravata dall'onere di valutare anche tutte le circostanze che hanno caratterizzato la fattispecie.
In conclusione: l’atto impugnato viene annullato.
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