Armi: art 43 tulps
La questione
Soffermiamoci un attimo sulla questione dell’istanza respinta per il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, in presenza di vecchie condanne.
Ebbene: già un anno fa (oggi ancora di più) ero e sono fermamente convinto che l’Amministrazione non possa considerare le condanne della persona che chiede il rinnovo come se fossero immodificabili nel tempo e, in ultima analisi, come se fossero una croce che si porta sulle spalle in eterno.
Se fosse così, ci troveremmo di fronte ad una soggezione perpetua che, in questo come in altri campi dell’esperienza giuridica, è assolutamente estranea all’ordinamento.
Diciamocelo in tutta sincerità: urta la sensibilità comune che, dopo decenni di buona condotta (attestata dalla riabilitazione) un cittadino non possa presentarsi dinnanzi all’Amministrazione in condizioni di parità con gli altri cittadini incensurati, sia pure per accedere ad un titolo abilitativo al porto d’armi.
In altri termini: se fosse consentita alla P.A. sempre e comunque (e, dunque, senza badare all’evoluzione d’ogni singola vicenda), una motivazione di rigetto completamente fuori dalla realtà attuale condizionata da condotte risalenti ad un passato remoto e non più riprodotto, la norma risulterebbe irragionevole e di dubbia legittimità costituzionale.
La questione è seria e delicata; non a caso se ne dibatte tutti i giorni e se ne interessa tanto il Parlamento (vedi l’ultima proposta di Legge d’iniziativa di Deputati:
PROPOSTA DI LEGGE
Modifica all'art. 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS)
ART. 1.
All'art. 43 del R.D. 18 giugno 1931, n.773 (Testo Unico di Pubblica Sicurezza) è aggiunto il seguente comma:
La licenza di porto d'armi può essere concessa ai soggetti condannati per i reati di cui alle lettere a), b) e c) che precedono, per i quali sia intervenuta sentenza di riabilitazione ai sensi dell'art. 178 del codice di procedura penale. A tal fine, l'Amministrazione competente procede all'accertamento del possesso degli ulteriori requisiti oggettivi e soggettivi necessari per il relativo rilascio)
quanto la Corte Costituzionale.
Di fronte a tanto, sono arrivato a pensare che tutto questo gran parlare attuale dell’art. 43 tulps distoglie dal nodo della questione e dalla soluzione a portata di mano, dal momento che basta semplicemente tener presente una sentenza ben scritta e soprattutto non appellata.
In effetti l’11 gennaio 2018 i Magistrati Domenico Giordano, Silvana Bini e Roberta Ravasio del Tar Torino hanno depositato la storica sentenza n. 69/18, mai appellata dal Ministero, con la quale è stata frantumata la tesi del Ministero dell’Interno e della Questura di Cuneo in ordine al negato rinnovo della licenza di porto d’armi per uso caccia, vista una condanna del ricorrente riportata nel 1979 per reati di furto continuato e porto illegale di armi in concorso (nella motivazione del decreto si precisava che, nonostante la pronuncia di riabilitazione sopravvenuta nel 1985, la condanna per i reati indicati all’art. 43 T.U.L.P.S. è ostativa ex lege al rilascio della licenza di porto d’armi, senza lasciare all’amministrazione alcuna possibilità di deroga o di valutazione discrezionale).
La causa
Nel caso trattato, il Questore ha negato il rinnovo della licenza di porto d’armi per uso caccia, in ragione della condanna riportata dalla persona interessata nel 1979 per i reati di furto continuato e porto illegale di armi in concorso.
Come sopra già brevemente anticipato, nella motivazione del decreto si precisa che nonostante la pronuncia di riabilitazione sopravvenuta nel 1985, la condanna per i reati indicati all’art. 43 T.U.L.P.S. è ostativa al rilascio della licenza di porto d’armi, senza lasciare all’amministrazione alcuna possibilità di deroga o di valutazione discrezionale.
Il ricorrente, per parte sua, contesta l’interpretazione contenuta nel decreto per vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere, deducendo l’illogicità e la contraddittorietà del provvedimento rispetto a precedenti determinazioni della stessa amministrazione, sostenendo che dalla condanna episodica e risalente a circa 40 anni fa non possa farsi derivare un automatico giudizio di inaffidabilità del richiedente la licenza, senza considerare il provvedimento di riabilitazione e la successiva condotta irreprensibile del ricorrente, elementi questi che escludono una sua attuale pericolosità sociale e inaffidabilità nell’uso delle armi.
La sentenza
Il ricorrente vince la causa; la sentenza non viene appellata dal Ministero dell’Interno.
Il Tar da atto dei difformi orientamenti espressi in tema di interpretazione dell’art. 43 T.U.L.P.S.
In una prima pronuncia il Consiglio di Stato ha affermato che la condanna per uno dei reati indicati all’art. 43 primo comma lettere a) b) c) genera una preclusione assoluta a essere titolare di un’autorizzazione al porto di arma e vincola l’Amministrazione a negare o revocare il porto dell’arma. Si tratta di speciale incapacità ex lege al rilascio o al rinnovo, tale da non poter essere superata dalla riabilitazione dell’interessato.
Nella pronuncia successiva, il Giudice di appello ha sostenuto che l’applicazione dell’art 43 TULPS non possa avvenire in violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzione di rango costituzionale e che debba essere privilegiata un’interpretazione della norma conforme ai principi costituzionali, con la conseguenza che l’Amministrazione, nel compiere la propria complessiva valutazione in ordine alla affidabilità nel possesso di armi, non possa non tener conto anche della sussistenza di altri elementi, che denotano favorevolmente la personalità dell’interessato con carattere di attualità.
Ciò comporta che la preclusione prevista dall’art 43 TULPS per il possesso di armi e munizioni in capo ai soggetti, che abbiano subito le indicate tipologie di condanne, non possa essere automatica, se altri elementi attuali della personalità dell’interessato, quale il lungo tempo intercorso rispetto all’epoca del commesso reato senza la commissione di ulteriori illeciti penali (corroborato nelle sue positive implicazioni dalla intervenuta riabilitazione), depongano per lo stabile ripristino in capo al soggetto medesimo delle richieste condizioni di affidabilità nel possesso di armi.
Ebbene il Tar Torino, ritiene di non poter condividere l’interpretazione che nega alla riabilitazione intervenuta per i reati indicati all’art. 43 TULPS l’effetto della “incapacità ex lege” ad essere titolare di un’autorizzazione al porto di arma e di dover ribadire il proprio convincimento che la P.A. non può considerare le condanne come se fossero un fatto preclusivo immodificabile.
Difatti, la valutazione dell’amministrazione deve ancorarsi a vicende che, per la loro collocazione temporale, esprimano con concretezza ed attualità l’inaffidabilità della persona che ha chiesto il rilascio di un titolo in materia di armi.
Qui va fatta una precisazione.
Non può negarsi che l’amministrazione abbia la possibilità di trarre argomenti prognostici negativi anche quando, pur non rientrando il reato fra quelli che per la loro consumazione richiedono necessariamente l’uso delle armi, lo stesso appaia indice di una personalità incline al disprezzo di beni di elevata importanza per la collettività.
Nel caso trattato tuttavia, i citati presupposti non ricorrono.
Difatti, la risalenza e l’episodicità della condotta criminosa accertata, la giovane età del ricorrente al tempo dell’accaduto, la tenuità delle conseguenze penali, sono tutte circostanze che non incrinano indefinitamente l’immagine di affidabilità dell’istante.
Anche qualora si volesse ritenere che l’art. 43, in deroga a quanto stabilisce l’art. 11 non abbia voluto far salvi gli effetti della riabilitazione, ritiene il Tar che della norma, adottata in un contesto ordinamentale ed istituzionale assolutamente distante dal quadro di valori democratici, personalistici e di rieducazione del condannato consacrati nella Carta Costituzionale, si imponga una lettura evolutiva.
La coerenza della Legge allora impone all’amministrazione quanto meno di procedere ad una prognosi concreta che tenga conto del tempo trascorso e della condotta tenuta successivamente al fatto di reato, fermo restando che in linea generale non possono compiersi apprezzamenti negativi in presenza di un solo episodio ostativo mai più ripetuto.
In pratica
La Legge è talmente complessa ed articolata che offre già la maggior parte delle soluzioni ai problemi giuridici.
Basta volerle vedere.
Anche le sentenze, come abbiamo visto, quando ben scritte concorrono all’identificazione delle soluzioni ragionate ai problemi.
Specie quando non vengono appellate dal Ministero.
In conclusione, non è sufficiente per l’Amministrazione invocare la remota condanna.
Occorre piuttosto procedere ad una concreta prognosi che tenga conto di tale evento, ma pure della condotta tenuta dall’interessato nell’ampio lasso di tempo successivo al fatto, nonché della circostanza che in tutti gli anni successivi non si sono verificati episodi che possono costituire indici d’attuale pericolosità ed inaffidabilità.
Altre informazioni su questo argomento?
Contatta l’Avv. Francesco Pandolfi
3286090590
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.