Come eliminare divieto detenzione armi con riesame
Proprio pochi giorni fa, in occasione di un altro post ( https://www.miaconsulenza.it/diritto-delle-armi/3-diritto-delle-armi/198-armi-art-43-tulps ) abbiamo esaminato alcuni aspetti dell’art. 43 tulps.
Ormai se ne parla praticamente tutti i giorni e spesso vengono sottoposti casi che riguardano questa particolare norma.
La domanda che viene posta frequentemente è questa: con una domanda di riesame è possibile superare l’ostacolo posto dal divieto di detenzione armi del Prefetto?
Ebbene, la risposta a questa domanda non è semplice.
Diciamo che si può rispondere di SI, distinguendo però le fattispecie rientranti nell’art. 43 1° comma e quelle rientranti nell’art. 43 2° comma.
Per capirne di più dirigiamo dunque il focus sulla differenza che esiste tra il primo e il secondo comma di questa disposizione e, tenendo conto di questa differenza, vediamo come e perché un’eventuale istanza di riesame del divieto di detenzione armi può essere accolta e non respinta.
Per farlo, oltre alla casistica disponibile nello studio chiediamo alla Magistratura di Brescia e, in particolare, attingiamo preziose informazioni dalla recentissima sentenza n. 815 del 13.06.2018 pubblicata il 21.08.2018 dal Tar bresciano.
Differenze tra primo e secondo comma dell’art. 43 tulps
Il dato da cui dobbiamo partire per questa particolare analisi è la norma.
Si tratta, come si può intuire, di una disposizione complessa.
A differenza del comma 1, nel quale è precluso il rilascio di licenze di porto d’armi e si impone la revoca di quelle già rilasciate nei confronti di chi sia stato condannato per uno dei reati ivi indicati, senza che assuma rilievo l’eventuale riabilitazione, nella fattispecie dell’art. 43 comma 2 l’autorità di Pubblica Sicurezza è tenuta ad operare una valutazione discrezionale al fine di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o all'applicazione di misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non di buona condotta.
Dunque accade questo: anche un semplice sospetto di abuso in teoria può essere sufficiente a legittimare un provvedimento che impedisca l’utilizzo o la detenzione di armi.
La condizione però che bisogna rispettare è questa: la valutazione discrezionale rimessa all’Amministrazione (ispirata a finalità preventive e cautelari) deve investire il complesso della condotta di vita dell’interessato e deve essere frutto di una adeguata istruttoria, tradotta in adeguata motivazione.
Perché la Prefettura può emettere il divieto
Il Prefetto può vietare la detenzione armi in quanto la persona interessata ha avuto precedenti penali particolari.
Ad esempio, nel caso trattato e risolto con la sentenza di Brescia, abbiamo una condanna alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione –pena sospesa- per detenzione di sostanze stupefacenti, nonché alla pena di 600,00 euro di ammenda per l’abbattimento di n. 1 pettirosso, specie protetta, con assoluzione dal reato di porto abusivo di arma bianca.
Abbiamo poi una riabilitazione e, successivamente, la richiesta di rinnovo del porto di fucile uso caccia, rilasciato nel 2014 con validità due anni.
Quindi, richiesto il rinnovo del titolo l’interessato viene convocato presso la Prefettura, che evidenzia l’esistenza di un decreto di divieto di detenere armi, ostativo al rinnovo del titolo, ed è invitato a formulare istanza di revoca del detto decreto.
Presenta allora istanza di revoca del decreto ma la Prefettura lo respinge.
Cosa fare per contestare il rigetto dell’istanza
Così come è accaduto nel caso della sentenza bresciana, in un ipotetico caso analogo si possono proporre al giudice queste critiche:
1) spiegare che si è formato il silenzio assenso sulla domanda di revoca, nel caso sia trascorso un lungo lasso di tempo;
2) lamentare il difetto di motivazione e l’insussistenza del pericolo per la pubblica sicurezza;
3) dimostrare che la situazione personale odierna è mutata a seguito dell’assoluzione dall’imputazione (es: nel caso di porto abusivo di arma bianca) e per l’intervenuta riabilitazione;
4) lamentarsi eventualmente dell’eccesso di potere, se non sussiste alcun pericolo per la “pubblica sicurezza”;
5) prospettare poi la violazione degli artt. 11 e 43 del TULPS, non essendosi realizzate le ipotesi ivi contemplate;
6) infine dolersi della violazione della propria posizione consolidata e del cosiddetto legittimo affidamento.
Cosa aspettarsi, alla fine, dal Giudice
Su una questione di questo tipo, in modo del tutto simile a quanto si è verificato con l’ottima sentenza 815/18 ci si può aspettare un accoglimento della domanda (ricorso sul rigetto del riesame).
In effetti, in quel caso il provvedimento impugnato era sprovvisto di adeguata motivazione in relazione alla mutata situazione del ricorrente rispetto al tempo in cui (anno 2008) era stato assunto il decreto di divieto di detenere armi e munizione.
Ma soprattutto non c’era alcuna vera motivazione in ordine alle ragioni per le quali la persona non potesse dare garanzia di un corretto uso delle armi.
Altre informazioni su questo argomento?
Contatta l’Avv. Francesco Pandolfi
3286090590
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.