In tema di rinnovo della licenza di porto di fucile ad uso caccia ha una sua importanza il fatto che, rispetto ad una condanna molto vecchia, intervenga un provvedimento del giudice penale che concede alla persona interessata il beneficio della riabilitazione.
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A confermare l’importante principio è la Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1814/2020 del 27.02.2020 e pubblicata il 12.03.2020.
Vediamo, in estrema sintesi, i passaggi fondamentali di questa utile pronuncia.
Dunque,
quella causa riguardava la legittimità o meno del provvedimento con cui il Questore aveva negato il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, sul rilievo che l’interessato era stato condannato, con sentenza di alcuni decenni prima, per il reato di porto abusivo di armi ex art. 699 c.p.
All’attenzione del Collegio era stata posta l’interpretazione dell’art. 43 del TULPS e nello specifico se, in presenza di condanne per i reati ivi elencati, restasse o no in capo all’Amministrazione un potere discrezionale che consenta un’alternativa al diniego e alla revoca della licenza di porto d’armi, quando appunto sia intervenuta un’ordinanza di riabilitazione.
Nella sentenza di marzo il Collegio spiega che, sulla questione, esistono due orientamenti.
Il primo, più rigoroso, ritiene che le condanne alla reclusione riportate per i delitti di cui all’articolo 43, comma 1, del TULPS costituiscano causa automaticamente ostativa al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi, anche in caso di estinzione del reato e di riabilitazione.
Il secondo, basato su un’interpretazione costituzionalmente orientata, e che anche assai di recente è stato confermato, mette in luce le criticità di un’applicazione rigorosa dell’automatismo preclusivo di cui al primo comma dell’art. 43 del TULPS e sostiene che in alcuni casi peculiari il principio di ragionevolezza comporti che debba essere privilegiata un’interpretazione della norma conforme ai principi costituzionali.
Tradotto, questo significa che l’Amministrazione, nel compiere la propria complessiva valutazione sull’affidabilità nel possesso di armi, deve tenere conto anche della sussistenza di altri elementi, che denotano favorevolmente la personalità dell’interessato alla licenza di polizia con carattere di attualità (vedi anche buona condotta successiva a reato ostativo).
Pertanto, una condanna per furto comminata oltre 30 anni fa (nel caso all’esame, vecchia condanna per il reato di porto abusivo di armi ex art. 699 c.p.), cui non abbiano fatto seguito analoghi episodi, significativi di personalità poco affidabile o, comunque, poco integrata nell’ordinato contesto socio economico del luogo di abituale dimora, deve essere valutata unitamente agli altri elementi che nella attualità connotano la personalità del richiedente.
Ebbene, in quel caso il primo giudice ha aderito a quest’ultimo orientamento, valorizzando il fatto che il caso concerne una condanna molto risalente e su cui è intervenuto un provvedimento del giudice penale che ha concesso al ricorrente il beneficio della riabilitazione (vedi anche detenzione armi e riabilitazione penale)
Questo indirizzo ha per altro trovato una recente conferma dal legislatore, mediante l’eliminazione dell’originario carattere automaticamente ostativo (al rilascio della licenza di porto d’armi) delle condanne per i reati tipologicamente indicati dall’art. 43, comma 1, TULPS, laddove sia intervenuta la riabilitazione (cfr. art. 43, comma 2, TULPS, come modificato dall’art. 3, comma 1, lett. e), d. lvo n. 104 del 10 agosto 2018, nel senso che “la licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione….”).
Inoltre: sebbene la norma, così novellata, trovi applicazione a decorrere dal 14 settembre 2018, ai sensi di quanto disposto dall’art. 14, comma 1, del medesimo d. lvo n. 104/2018, da essa possono lo stesso ricavarsi utili spunti ai fini della corretta interpretazione della disposizione previgente.
In ultima analisi: il legislatore, con la modifica menzionata, ha voluto conformare la disciplina a criteri di equilibrata ragionevolezza attribuendo all’Amministrazione, laddove la valenza negativa dei reati sia bilanciata dalla buona condotta successiva del condannato, espressiva di un atteggiamento di ravvedimento che abbia messo capo al provvedimento di riabilitazione ex art. 178 c.p., il potere di valutare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di diniego, alla luce di un giudizio di affidabilità attuale dell’interessato, in relazione all’uso delle armi, che muova sì dalla condanna, ma abbracci l’intero spettro di elementi, anche sopravvenuti, suscettibili di valutazione al suddetto fine (ovvero, esemplificativamente, la concreta entità del fatto criminoso, il lasso temporale trascorso dopo la condanna, la condotta successivamente tenuta dall’interessato, sia sotto un profilo generale che in relazione all’uso delle armi, tanto più laddove l’Amministrazione, dopo la condanna, abbia comunque proceduto al rinnovo del titolo di polizia - vedi anche condannato in eterno).
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