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Martedì, 22 Agosto 2017 06:46

Revoca porto di fucile uso caccia: come impostare il ricorso gerarchico e puntare all'accoglimento

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 4 elementi per il "si" al ricorso

 

La vicenda

Prendiamo spunto da un caso specifico, assai particolare.

Il Questore revoca la licenza di porto di fucile ad uso caccia ad una persona: un intervento inibitorio che scaturisce da un controllo dei Carabinieri, a seguito di una segnalazione con richiesta di rintraccio da parte di alcuni familiari dell’interessato.

In pratica accade questo: la persona si allontana dalla residenza familiare ed inizia a vagare in campagna in possesso di un fucile, con il quale (almeno questo risulta dalle prime ricerche e dai primi accertamenti) vorrebbe ….farsi del male!

La situazione appare quindi subito spinosa, considerato che dopo la persona viene rintracciata disarmata, in aperta campagna, in uno stato di (descritta) “alterazione psicologica” e in una apparente confusione.

Vista l’insolita situazione, la Stazione dei Carabinieri provvede subito al ritiro cautelare di armi, munizioni e licenza.

 

 

Gli argomenti del ricorso gerarchico

Successivamente l’interessato però, non condividendo l’operato dell’amministrazione decide di proporre il ricorso gerarchico, volendo portare all’attenzione dell’Autorità tutte le sue buone ragioni.

Si mette all’opera quindi per stendere la trama del suo ricorso.  Premette di essere laureato, occupato, libero professionista.  Nei motivi di diritto mette in risalto:

  • l’eccesso di potere,
  • la violazione di legge,
  • il travisamento dei fatti.

Passa poi ad introdurre una specie di “preludio”. 

Dice che, a prima vista, la lettura degli argomenti su cui si basa la revoca del Questore (….veniva ricoverato dopo essere stato rintracciato in aperta campagna a seguito di allontanamento dalla propria abitazione con chiari intenti lesivi….) allarma ed allarmerebbe chiunque, non fosse altro perché su un piano astratto qualunque persona che ha pianificato di porre fine alla propria vita con un arma da fuoco, rappresenta un grave pericolo per se e per gli altri ed è quindi giocoforza dare applicazione ai precetti normativi del T.U.L.P.S. concepiti proprio per tale presidio.

Tuttavia, prosegue il ricorrente, i dubbi sulla ritenuta “chiarezza” dell’intento lesivo sono parecchi e, pertanto, la facoltà di scelta spettante all'Amministrazione nel dare la giusta lettura ai fatti non sembra correttamente esercitata.

Questo perché (è bene tenerlo a mente) il Questore è chiamato a valutare la situazione concreta su cui fonda il proprio convincimento.

In pratica, occorre che individui con precisione la situazione di fatto su cui l'atto è destinato a produrre effetti; inoltre la valutazione deve seguire un corretto iter logico, in modo tale che il contenuto dell'atto sia coerente con le norme e la situazione concreta.

La mancanza di uno di questi elementi comporta un vizio dell'atto per eccesso di potere siccome basato su fatti mal interpretati o addirittura travisati.

 

 

Il contenuto dell'atto amministrativo deve essere coerente con le norme e la situazione concreta

 

 

L’interpretazione corretta del fatto che si è verificato

Si tratta di un caso dove si pone il problema dell’interpretazione di quanto accaduto e, quindi, dell’adeguatezza della misura adottata rispetto alla rilevanza del temuto rischio del comportamento pericoloso. 

Andando a guardare bene quello che è successo, sembra difficile riuscire a dire che l'episodio ha un significato univoco di “chiaro intento lesivo”. 

A parte la segnalazione dei familiari ai Carabinieri e l’accesso domiciliare successivo seguito dal ritrovamento del ricorrente, non esistono elementi soggettivi ed oggettivi certi e chiari che offrano la motivata possibilità all’Autorità di ritenere incontrovertibile tale intento.

Ci sono forti dubbi, in sostanza, sul reale intento dell’interessato: forse sarà stato un “atto dimostrativo” (come tale senza pericolosità) a seguito di un banale bisticcio con la coniuge; oppure potrebbe aver gestito in modo un po’ irruento la fase finale di una situazione stressante, nata da una controversia familiare, ma senza avere alcuna cattiva intenzione.

A fronte di queste obiezioni, sembra sproporzionata la misura adottata ex art. 11 e 43 TULPS, rispetto alla effettiva consistenza del pericolo di abuso delle armi da parte del ricorrente. 

Gli elementi dai quali la Questura ha desunto la relativa inaffidabilità del ricorrente sono effettivamente scarsi.

 

 

Il ricorso viene accolto per 4 motivi

1)  La buona fattura del ricorso gerarchico, che contiene motivi pertinenti e plausibili,

2)  la certificazione medica prodotta dal ricorrente e rilasciata dalla Asl Dipartimento di Salute Mentale, da cui emerge che non esistono condizioni psicopatologiche di interesse psichiatrico,

3)  il certificato medico di idoneità per il rilascio o rinnovo della licenza di porto di fucile ad uso caccia, emesso dal Medico Capo della Polizia di Stato ed attestante il pieno possesso dei requisiti psico fisici,

4)  non risultano altri elementi ostativi che possano giustificare la permanenza delle misure interdittive in materia di armi.

 

 

Altre informazioni su questo argomento?

Contatta l'avv. Francesco Pandolfi

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Letto 9392 volte Ultima modifica il Domenica, 05 Novembre 2017 18:51
Francesco Pandolfi e Alessandro Mariani

Francesco Pandolfi

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Francesco Pandolfi AVVOCATO

Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.

Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.

E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".

La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".

Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.

I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.

Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.

 

 

Alessandro Mariani Avvocato

data di nascita: 08/04/1972

 

Principali mansioni e responsabilità: 
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.

 

 

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