Parliamo di una situazione dove non c'è alcun problema per l’incolumità pubblica
Il caso
Un vicenda risolta dal Tar Lazio, con la sentenza n. 8090/17 del 10 luglio 2017.
La Sezione 1 ter ha affrontato e risolto in scioltezza il caso proposto da un professionista, titolare di licenza da decenni e possessore di tre fucili.
In pratica l’interessato riceve la brutta notizia: il Questore e il Prefetto agiscono, per così dire, in sincrono: il primo gli revoca la licenza del porto di fucile ad uso caccia, il secondo emette il divieto di detenzione armi, munizione e materiale esplodente.
Ma perché accade tutto ciò?
E’ presto detto: il Questore segnala che il ricorrente è stato deferito alla Procura per non aver custodito diligentemente un’arma (vedi anche: come custodire armi con diligenza non rimproverabile) regolarmente denunciata (proc. penale comunque archiviato).
Un passo indietro: l’antefatto
Lo spunto per questo procedimento penale è la richiesta di uno zio dell’interessato, il quale chiama il personale del Commissariato di Polizia per far ritirare le armi in suo possesso per la successiva rottamazione: nell’occasione, scoprendosi la mancanza della denuncia di un’arma, si accerta che essa è stata regolarmente denunciata nel 94 da suo nipote (appunto l'odierno ricorrente).
Secondo il racconto dello zio del ricorrente, l’arma in questione sarebbe stata sottratta senza il consenso del possessore, evidenziando di avere libero accesso alla sua abitazione, poiché in possesso delle relative chiavi.
Verso la decisione
Premesso, dice il Tar Lazio, che in materia vige l’ampia discrezionalità in capo all’Autorità che procede, non si può negare che gli appunti mossi contro l’interessato sembrano alquanto strani, per non dire infondati.
In effetti, sottolineano gli accorti Giudici, si sta parlando di una persona che risulta in possesso del porto di fucile da quarant’anni, senza che mai gli sia stata contestata una virgola, come suol dirsi.
In pratica: ha avuto sempre una condotta ineccepibile.
Mancano, in buona sostanza, gli elementi per arrivare a dire che il professionista ricorrente abbia visto abbassarsi la soglia della sua affidabilità -nella custodia di armi di sua proprietà- (vedi anche: armi, come non farsi fregare sulla questione della custodia)
L'episodio accaduto, da cui è poi scaturito anche il procedimento penale (archiviato), sarebbe particolare: lo zio del ricorrente sottrae un fucile dall'abitazione del ricorrente, di cui ha le chiavi, in sua assenza, e la consegnata dopo a personale del Commissariato per la rottamazione, dichiarando di non trovare la denuncia.
Si scopre che detta arma è stata denunciata dal ricorrente, che la detiene.
La soluzione è favorevole al ricorrente
In un quadro idilliaco come quello con cui si presente il ricorrente al cospetto della Magistratura, l'unico episodio strano attiene al prelievo di un fucile, regolarmente denunciato dal ricorrente e sempre regolarmente custodito, dalla sua abitazione.
Ma, si badi: non da parte di un qualsiasi soggetto bensì da un suo zio, in possesso delle chiavi di casa, che quindi vi aveva libero accesso.
Tradotto: nessuna conseguenza per la pubblica incolumità si è determinata ed anzi lo zio, che ha messo il fucile insieme ad altre armi regolarmente detenute dal medesimo, intende rottamarle; in quell'occasione si è scoperto che lo stesso ha appunto sottratto l’arma.
Da non dimenticare che il procedimento penale è stato archiviato e questo fatto è perfettamente conosciuto all'Amministrazione al momento dell'adozione dei provvedimenti.
Un consiglio
Se non si comprende come da un episodio specifico possano desumersi la capacità di abuso delle armi e l'inaffidabilità nell'uso delle stesse, allora è il caso di valutare il ricorso, senza pensarci troppe volte.
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