La tutela della persona disabile è al centro dell’interesse protetto dalla legge n. 104/92: qui il dipendente chiede il trasferimento ad altra sede per esigenze di cura della persona in difficoltà.
Questo trasferimento è congegnato per offrire un vantaggio al disabile, non all'Amministrazione o al richiedente.
In pratica, la domanda di trasferimento ha solo natura strumentale ed è, in realtà, intimamente connessa con la persona dell'assistito.
Cosa stabilisce la norma in esame?
Quali interessi protegge?
Ebbene, l’art. 33 L. n. 104/92 prevede:
"a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.... Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
L'inciso "ove possibile" comporta che, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, deve sussistere la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo, per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento.
Presso la sede richiesta vi deve essere una collocazione compatibile con lo stato del militare.
Tanto precisato, va però anche detto che la verifica della compatibilità del trasferimento ex art. 33 co. 5, con le esigenze generali del servizio, deve consistere in un controllo accurato e non superficiale delle esigenze funzionali.
Detto in altri termini: per negare il trasferimento, le esigenze di servizio non possono essere né genericamente richiamate, né fondarsi su generiche valutazioni in ordine alle scoperture di organico ovvero alle necessità di servizio da fronteggiare, ma devono risultare da una indicazione concreta di elementi ostativi, riferiti alla sede di servizio in atto, anche rispetto alla sede di servizio richiesta, e dalla considerazione del grado e/o della posizione di ruolo e specialità propri del richiedente (v. Consiglio di Stato Sez. 4, sentenza n. 274 dell’11.01.2019).
Volendo riassumere in uno schema di massima i principi di fondo del trasferimento in questione:
- la norma non parla di un diritto al trasferimento, ma di un interesse;
- il diniego dell’istanza di trasferimento deve essere basato su motivi congrui, reali e riconoscibili;
- una scopertura di organico nella sede attuale di servizio del dipendente non è sufficiente a motivare il diniego, se l’Ente non spiega le conseguenze negative per l’interesse pubblico derivante dal trasferimento stesso;
- la presenza di altri familiari in loco, astrattamente idonei all’assistenza, non è elemento ostativo al trasferimento;
- l’orientamento attuale dei Giudici amministrativi accorda la preferenza al dipendente che chiede motivatamente il trasferimento (Tar Puglia, Sez. II Sezione staccata di Lecce, sentenza n. 875 del 26 maggio 2016; Consiglio di Stato Sez. IV, sentenza n. 274 dell’11.01.2019), quando ci si trova in presenza di una motivazione non congrua espressa nel rigetto.
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