Secondo la Corte Costituzionale il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi è una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975; inoltre, dice la Corte, il porto d'armi non è un diritto assoluto, ma un’eccezione al normale divieto di portare le armi.
I due criteri di fondo sono racchiusi nella sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha condiviso quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981; inoltre, più di recente va menzionata anche la sentenza del 20 marzo 2019, n. 109.
Ultimamente, poi, i principi sono stati richiamati dalla Sezione Prima del Tar Calabria con la sentenza n. 1520 del 05.06.2019, pubblicata il 05.08.2019.
Il potere di cui parliamo è sicuramente ampio, tuttavia non è illimitato, come subito vedremo.
Si tratta di un potere che va esercitato con ragionevolezza.
Indice
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Perché il preambolo sulla Corte?
L’introduzione serve per impostare il discorso successivo, dove da una parte si individua e si riconosce il potere discrezionale del Ministero sulle licenze, dall’altra si mette in risalto che questo potere deve essere comunque ben governato e gestito, non potendo l’Autorità basare il proprio giudizio di inaffidabilità di una persona su argomenti che, alla fine, non reggono.
In sostanza, è vero che:
l’art. 39 r.d. 18 giugno 1931 n. 773 attribuisce alla Prefettura il potere discrezionale di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne.
Inoltre che il successivo art. 43 consente alla competente autorità - in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche - in alternativa - l'assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia, non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell'interessato.
In questo quadro, il sindacato sull'opportunità di concedere o meno la licenza si arresta, per il giudice, al limite della ragionevolezza.
E’ pure vero però che il giudizio di inaffidabilità dell’uso delle armi può risultare irragionevole perché fondato, ad esempio, su elementi inconsistenti.
Una situazione del genere è proprio quella che si è trovata a valutare il Tar Catanzaro, il cui Collegio si è espresso favorevolmente per l’interessato con la sentenza sopra citata.
Qui la questione ruota essenzialmente attorno alle frequentazioni dubbie dell’interessato e su un suo precedente penale, poi risolto.
In pratica, il giudizio di inaffidabilità dell’uso delle armi è risultato irragionevole perché fondato su elementi inconsistenti.
Nel caso concreto, la persona di cui si parla è stata assolta dalle accuse in forza delle quali gli era stata applicata la custodia cautelare in carcere.
Il suo coinvolgimento in una attività di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti era stata una semplice ipotesi sfornita di indizi di partecipazione morale e materiale.
Addirittura La Corte d’Appello aveva ritenuto, conseguentemente, che la privazione della libertà personale da lui subita fosse stata ingiusta e che egli non vi avesse colposamente dato causa, tanto che aveva disposto in suo favore il pagamento della somma di danaro prevista dalla legge a titolo di riparazione.
In secondo luogo, le frequentazioni con soggetti controindicati erano state di scarso significato, dato che era stato controllato con una persona solo successivamente segnalata per interruzione di pubblico servizio, lesioni e per reati legati agli stupefacenti; poi era stato controllato con un soggetto che dieci anni prima era stato segnalato per porto abusivo e detenzione di armi e munizionamento e solo successivamente era stato segnalato per altri reati, prevalentemente contro il patrimonio.
Quindi era stato controllato con un soggetto in passato segnalato per reati di falso; ancora era stato controllato con una persona che in passato, esattamente dieci anni prima, era stato segnalata per reati relativi al traffico di sostanze stupefacenti.
Su tali dati, dice giustamente il Tar che il ricorrente non poteva prevedere i futuri pregiudizi di polizia a carico dei soggetti che si è trovato a frequentare e che, in ogni caso, non era neppure noto agli atti se i soggetti controindicati avessero subito procedimenti penali per i reati per i quali erano stati segnalati e quale fosse stato l’esito.
Non vi era dunque la possibilità materiale di affermare che la persona interessata fosse consapevole di frequentare soggetti dotati di un profilo di rilievo criminale.
Infine, secondo l’accertamento ricostruito dal Tribunale, l’amministrazione aveva sottovalutato che i Carabinieri, in precedenza, nel rendere l’informativa sull’affidabilità del ricorrente avevano escluso che frequentasse pregiudicati o comunque soggetti controindicati; e, ancora, che il ricorrente, avendo già ottenuto la licenza di porto di armi a uso caccia, avesse dimostrato diligenza nella detenzione e porto.
In definitiva, il fatto che ci interessa è questo: il Tar ha accolto il ricorso ed annullato i provvedimenti amministrativi impugnati.
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