La Questura non può negare il permesso di porto d’armi limitandosi ad addurre il solo fatto che il richiedente è legato da rapporto di parentela o di affinità con pregiudicati, senza in concreto valutarne l'incidenza sull’ affidabilità e/o probabilità di abuso delle armi.
Focus, questa volta, sul Tar Catania.
In causa il ricorrente si lamenta del fatto che il rigetto è motivato solo dall’esser pregiudicati i suoi affini, fatto ben conosciuto dalla Questura anche negli anni precedenti, quando ben due volte venne concesso il rinnovo del porto d’armi pur essendo già pregiudicati gli affini non conviventi.
Poi, la persona interessata conferma che a suo carico non c’è nessuna delle condizioni per il diniego, non avendo egli mai riportato condanne penali, mai abusato delle armi, non essendo provato e neanche dichiarato che non dà affidamento di non abusarne, inoltre per il fatto che è stata palesemente descritta la sua condotta come inappuntabile.
Dice, infine, che la legge legittima il rifiuto o la revoca della licenza sulla base di fatti non definiti con sentenza penale di condanna, solo con l’accertata assenza di buona condotta, non presente nella sua vicenda.
Il Tar Catania, chiaro e lineare, accogliendo il ricorso di questa persona risponde con la sentenza n. 1206/2020, pubblicata in data 01.06.2020.
Dice il Collegio di Giudici: ai fini della revoca (o del diniego dell’autorizzazione) possono assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi, potendo altresì l'Amministrazione valorizzare nella loro oggettività sia fatti di reato diversi, sia vicende e situazioni personali delsoggetto che non assumano rilevanza penale, concretamente avvenuti, anche non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa desumere la non completa “affidabilità” all’uso delle stesse.
Il carattere discrezionale del giudizio di affidabilità nell’uso delle armi importa poi la legittimità anche del ricorso a valutazioni della capacità di abuso fondate su considerazioni probabilistiche, in quanto nella materia l’espansione della sfera di libertà dell’individuo è destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva.
Ritiene il Collegio, tuttavia, che l’ampia discrezionalità di cui gode l’Autorità di pubblica sicurezza vada declinata all’esito di un’adeguata e puntuale istruttoria, di cui deve essere data intellegibile contezza nella motivazione del provvedimento, sì da consentire il controllo in sede giurisdizionale.
Ebbene, in linea generale il semplice rapporto parentale (nel caso specifico viene peraltro in rilievo il diverso rapporto di affinità) non può fondare, non almeno in termini automatici, un giudizio di disvalore o di prognosi negativa in materia di armi.
L’Amministrazione non può negare il permesso di porto d’armi limitandosi ad addurre il solo fatto che il richiedente è legato da rapporto di parentela o di affinità con pregiudicati, senza in concreto valutarne l'incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso delle armi, in quanto la valutazione della possibilità di abuso, pur fondandosi legittimamente su considerazioni probabilistiche, non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere il soggetto richiedente pericoloso o comunque capace di abusi, per cui è necessario che il provvedimento con cui viene disposto il diniego sia fondato su una valutazione del comportamento complessivo del soggetto interessato, idonea a sorreggere il giudizio prognostico di non affidabilità in merito al buon uso delle armi.
Il contesto familiare può assumere considerazione nel giudizio valutativo dell'Autorità procedente solo qualora sia dimostrata la capacità o anche solo la possibilità di incidenza dello stesso sul modus agendi del destinatario dell'atto.
In conclusione, il ricorso viene accolto e l’amministrazione condannata a rifondere le spese di acquisto del contributo unificato.
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