Disciplina delle autorizzazioni di polizia in materia di armi e munizioni. Valutazioni in ambito penale e amministrativo.
Esistono numerosi casi dove le Prefetture adottano il divieto di detenzione armi semplicemente basandosi su dati ed informazioni di tipo penale, che provengono ad esempio da un esposto, una denuncia o dal fatto che una persona riveste la qualità di indagato, senza però verificarne autonomamente il contenuto.
Si tratta di un passaggio decisivo, dal momento che la Legge non ammette in alcun caso, in questa materia, valutazioni amministrative appiattite su ipotesi penali tutte da verificare.
A ricordare il fondamentale principio questa volta è il Tar per la Calabria Sez. Prima, con la sentenza n. 529/21 pubblicata in data 11.03.2021.
Seguendo l’input del tribunale basterebbe, volta per volta, osservare questo chiaro criterio orientativo per evitare l’emissione di divieti detenzione sbagliati.
La cosa da ricordare è che, quando questo si verifica, l’autorità di p.s. può essere portata in giudizio e al giudice si può chiedere di verificare l’eccesso di potere dalla stessa esplicitato nel caso specifico.
In sintesi: stando alla disciplina delle autorizzazioni di polizia in materia di armi e munizioni se, per un verso, l'Autorità di pubblica sicurezza può, nell’assumere le relative determinazioni, apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d'abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, per altro verso l'ampio potere detenuto in materia dall'Amministrazione deve essere tuttavia esercitato nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale, che sotto il profilo della coerenza logica e ragionevolezza.
Quindi, concludendo: il Prefetto non può travisare i fatti, deve approfondire autonomamente gli stessi fatti dedotti nel penale, non può sconfinare nell’arbitrio quando decide di emettere il divieto, la sua decisione deve essere coerente, logica e ragionevole.
Mentre il privato, quando si trova di fronte ad un divieto palesemente eccessivo, ha tutto l’interesse a presentare prima il ricorso gerarchico e, nel caso in cui il Ministero non dovesse rispondere per tempo o in caso di rigetto, portare senza indugio il caso davanti il Tar, dove i membri del Collegio sapranno criticare la scelta amministrativa, così come del resto è accaduto in occasione della sentenza 529.
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