Il divieto di detenzione armi nel quale manca la motivazione è annullabile con ricorso.
Un attimo di attenzione sulla sentenza del Tar Palermo, Sezione Terza, la n. 935/2020, pubblicata in data 11.05.2020: una sentenza utile che ci permette di richiamare, ancora una volta, concetti che sistematicamente ritornano nelle pronunce dei magistrati più accorti.
Dunque, in causa viene chiesto l’annullamento di un decreto con il quale il Prefetto ha vietato al ricorrente di detenere tutte le armi possedute a qualsiasi titolo ed il relativo munizionamento.
Il provvedimento è stato adottato dall’amministrazione per prospettati procedimenti penali e segnalazioni di polizia a carico del ricorrente.
Ebbene, dice il Collegio giudicante: la giurisprudenza prevalente, se, da un lato, riconosce, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, rispettivamente al Prefetto e al Questore, la facoltà di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti e di ricusare la licenza di porto d’armi con un’ampia discrezionalità nel valutare, con il massimo rigore, qualsiasi fatto o circostanza i quali (seppure non penalmente rilevanti) possono minare, in base a un giudizio prognostico, la piena e assoluta affidabilità di cui deve godere ogni soggetto che aspira a mantenere o rinnovare il porto d’armi e il permesso di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, per altro verso, impone che tale potere venga esercitato «nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della coerenza logica e ragionevolezza, dandosi conto in motivazione dell'adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi; ne consegue che il pericolo di abuso delle armi non solo deve essere comprovato, ma richiede una adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità».
Per il vero il ricorrente, già in precedenza autorizzato alla detenzione di armi e munizioni, in base al certificato dei carichi pendenti aggiornato non risulta neppure sottoposto a procedimenti penali.
Inoltre l’amministrazione, sollecitata dal Tribunale con ordinanza istruttoria, nulla ha detto sull’esistenza di procedimenti penali a carico del ricorrente o su fatti concreti e circostanziati valutabili come indici di inaffidabilità.
Dunque, nel caso di revoca o rinnovo di un titolo di polizia, per la giurisprudenza l’Amministrazione non può esimersi dall’indicare, nella motivazione dell’eventuale atto di diniego, il mutamento delle circostanze, di fatto e soggettive, che l’avevano già indotta a rilasciare il titolo negli anni antecedenti.
In conclusione, in accoglimento del ricorso, il provvedimento impugnato è stato annullato e il Ministero condannato anche alle spese.
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