Revoca della licenza di porto di pistola per difesa personale e contestuale adozione del provvedimento cautelare di divieto detenzione armi e munizioni. Persona vittima di furto. Omessa custodia di armi. Affidabilità. Contestazioni.
Revoca licenza e divieto detenzione
Videosorveglianza e sistemi di allarme
Avvio del procedimento di revoca e divieto
Parliamo di una situazione un po’ particolare, qui presa come spunto da un caso effettivamente affrontato e risolto dai giudici.
Revoca licenza e divieto detenzione
Abbiamo una revoca della licenza di porto di pistola per difesa personale e il relativo libretto di porto d’armi, con contestuale divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti.
In pratica, la persona interessata rimane vittima di un furto commesso da ignoti presso la sua azienda, introdottisi forzando la finestra di un ufficio.
I malviventi, oltre ad appropriarsi di danaro e assegni, forzano l’armadio blindato all’interno del quale il nostro protagonista detiene legalmente vari fucili, pistole e cartucce: i cattivi della situazione sottraggono le pistole.
Le forze dell’ordine intervengono quindi su richiesta dell’addetto alla sicurezza della società, che si è avveduto dei malfattori durante un normale giro di vigilanza: i ladri si danno alla fuga dopo essere stati scoperti.
Videosorveglianza e sistemi di allarme
Dall’annotazione redatta dalla Volante intervenuta emerge che era in funzione il sistema di video-sorveglianza esterna, ma non quello di allarme.
Visto il mancato funzionamento del sistema di allarme, l’interessato viene deferito all’autorità giudiziaria per il reato di omessa custodia delle armi di cui all’articolo 20 della legge n. 110 del 1975.
Avvio del procedimento di revoca e divieto
Su proposta degli Organi di polizia, la Prefettura comunica l’avvio del procedimento di revoca del porto di pistola per difesa personale e di contestuale divieto di detenzione armi.
Secondo l’idea che si è fatta l’Autorità, sarebbe venuto meno il requisito dell’assoluta affidabilità in merito alle modalità di custodia delle armi, alla luce degli eventi descritti.
C’è da dire che durante l’iter del procedimento amministrativo avviato, la persona interessata documenta non solo la presenza presso lo stabilimento industriale di un impianto antifurto, di recinzioni e del servizio di guardiania e videosorveglianza, ma anche la circostanza per cui le armi e le munizioni sono ed erano conservate in una cassaforte porta - fucili con struttura monoblocco in lamiera di acciaio e serrature di sicurezza, a sua volta riposta all’interno di un armadietto chiuso a chiave e collocato in un ufficio cui può accedersi esclusivamente attraverso una porta blindata.
Niente da fare: il Prefetto conferma il difetto di affidabilità del ricorrente in ragione del deferimento per il reato di omessa custodia nonché per altri vecchi reati, non attinenti però alle armi.
Arrivati al tavolo del giudice, però, la musica cambia radicalmente e i magistrati vanno a vedere tutti i minimi dettagli del fascicolo, proprio per capire se l’amministrazione ha fatto buon uso, o meno, della discrezionalità che la Legge gli riconosce.
Ebbene, il risultato di questa indagine è che la Prefettura, alla fine, ha sbagliato nel formulare il suo convincimento negativo.
Vediamo perché.
Dice il Collegio di magistrati che l’Autorità ha il potere-dovere di valutare autonomamente i fatti: infatti essa è chiamata a svolgere un giudizio autonomo rispetto a quello richiesto al giudice penale.
Peraltro, nel procedimento penale specifico oggetto di quella causa è stata pure richiesta l’archiviazione dal P.M.
Quindi, prosegue il Tar, non è ragionevole ritenere che, a fronte delle misure di sicurezza adottate, il solo mancato funzionamento del sistema di allarme possa far venire meno l’affidabilità di una persona titolare dell’autorizzazione da circa quarant’anni.
Quanto alla rilevata pendenza di altri procedimenti penali per reato di truffa e simili, poiché si tratta di reati inidonei a svelare la prognosi di abuso nel campo delle armi, occorrerebbe sul punto una solida motivazione del provvedimento di diniego che, nel caso analizzato, manca.
Il divieto di detenzione armi non si giustifica in quanto siamo in presenza di un evidente deficit istruttorio da parte dell’amministrazione che ha disposto il divieto.
Pertanto, analogamente a quanto accaduto nel caso commentato e qui utilizzato come spunto (Tar Bari Sezione Seconda, sentenza n. 1128/2020 pubblicata il 04.09.2020), risulta proponibile il ricorso per chiedere l’annullamento di un diniego di questo tipo.
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