Le denunce penali, in particolare quelle che riguardano reati non attinenti all’uso delle armi, non possono essere poste a base di valutazioni negative in sede di eventuale revoca della licenza di porto di fucile. La persona incensurata. Regole, criteri ed orientamenti che il Ministero dell’Interno è chiamato ad applicare.
Armi: il Tar distingue tra querele e querele
Armi: il tribunale risolve il caso
Armi: presentare querela non basta
Può accadere che due persone si denuncino a vicenda.
Si tratta di circostanze non semplicemente ipotetiche, ma che nella realtà di tutti i giorni si verificano con una certa sistematicità.
Incomprensioni, litigi, semplici ed occasionali battibecchi: possono essere tutti spunti per arrivare alle querele reciproche.
Ora: in presenza di denunce reciproche, come deve comportarsi il Ministero dell’Interno nel valutare la permanenza dei requisiti per il mantenimento di una licenza di porto di fucile?
Questo perché le dichiarazioni contenute nella denuncia potrebbero essere dettate dal solo astio o rancore nei confronti del partner e, dunque, potrebbero essere sprovviste di prove a supporto.
Oppure potrebbero riguardare reati che non hanno niente a che vedere con l’utilizzo accorto e lecito di armi.
Bene: se l’amministrazione non svolge i suoi fondamentali accertamenti sulla personalità dell’interessato, il suo provvedimento sarà annullabile con un ricorso al Tar.
Armi: il Tar distingue tra querele e querele
Una situazione come quella descritta è stata esaminata e favorevolmente risolta dal Tar Reggio Calabria, con la sentenza n. 235/2020 pubblicata in data 18.03.2020.
Qui, il provvedimento di divieto detenzione armi e il successivo provvedimento di revoca della licenza di porto di fucile venivano emessi a seguito di una denuncia subita per ipotesi di reato riguardanti la calunnia, diffamazione, tentata estorsione e atti persecutori.
Anzi, più precisamente, le parti in questione prese dalla rabbia per una loro divergenza si erano scambiate reciproche querele, ma comunque all’interno di un rapporto riguardante solo e soltanto una loro situazione economico-professionale interna.
Il Questore e il Prefetto avevano assunto dunque i loro provvedimenti.
A questo punto partiva il ricorso.
Armi: il tribunale risolve il caso
Il Tar ha manifestato accordo con la tesi del ricorrente.
Lo ha fatto rammentando che la giurisprudenza ritiene che la semplice denuncia di reato all'autorità giudiziaria non è solitamente circostanza che, da sola, può giustificare l'interdizione dall'uso e dalla detenzione armi per sopravvenuta inaffidabilità del titolare dell'autorizzazione di polizia.
Detto divieto, dice sempre il Collegio di giudici, può essere conseguente solo ad una valutazione complessiva della personalità del soggetto, onde valutarne l'incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso nell'uso delle armi, valutazione che qui è mancata da parte della P.A.
Sotto questo profilo, pertanto, sempre restando sul caso concreto preso qui come spunto per il commento, i provvedimenti impugnati risultano viziati sia per difetto d'istruttoria, sia per difetto di motivazione, non ravvisandosi da parte della Prefettura alcuna attività di approfondimento sulla personalità del ricorrente che è incensurato e che solo cinque mesi prima dell’intervenuto divieto prefettizio aveva ottenuto la licenza del fucile ad uso caccia.
Armi: presentare querela non basta
Ora, nella situazione reale analizzata la valutazione dell’amministrazione si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni del querelante per ipotesi di reato, abbiamo visto chiaramente, estranee all’utilizzo di armi.
Si tratta di elementi che dovevano imporre lo svolgimento di accurati ed approfonditi accertamenti istruttori da parte del Ministero, appunto tendenti a verificare l'emersione di eventuali profili ostativi al mantenimento del titolo di polizia.
Accertamenti che non ci sono stati. In sostanza: caso risolto e domanda accolta dal Tar.
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