Una isolata querela per maltrattamenti in famiglia di solito non basta per revocare la licenza di porto di fucile ad uso sportivo: da parte della Questura occorre invece la valutazione della personalità e della condotta complessiva della persona indagata.
Magari ti sarà già capitato di leggere post su questo particolare tema.
Posso dirti che, pur essendo un argomento più e più volte affrontato, rimane sempre attuale visto che i giudici se ne interessano costantemente.
Il Tar per le Marche non fa eccezione e, proprio poco tempo fa, si è occupato del tema, con la sentenza n. 360 pubblicata il 27 aprile 2021.
Una pronuncia che accoglie il ricorso dell’interessato, che si è visto revocare la licenza di porto di fucile per uso sportivo.
Vediamo, allora, un po’ più da vicino il caso, sempre con l’intento di ricavarne il principio utile per una più ampia platea di persone appartenenti al mondo armiero.
Dunque, in questo caso il ricorrente è titolare di licenza di porto di fucile per uso sportivo; con il suo ricorso impugna il provvedimento con cui la Questura, sul presupposto che egli non è più affidabile per il possesso e l’utilizzo delle armi - essendo stato iscritto nel registro degli indagati a seguito della presentazione di una querela da parte della coniuge (con cui è in corso la separazione) per il reato di maltrattamenti in famiglia - ha disposto nei suoi confronti la revoca dell’anzidetta licenza.
Viste le rispettive posizioni delle parti assunte in causa, il Tar dice: “… il giudizio prognostico deve essere effettuato sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie, al fine di verificare il potenziale pericolo rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute, e deve estrinsecarsi in una congrua motivazione, che consenta in sede giurisdizionale di verificare la sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie”.
In altri termini l’Amministrazione, nel disporre la revoca di una licenza già rilasciata deve svolgere un’istruttoria congrua e adeguata, di cui deve dare conto in motivazione, la quale abbia ad oggetto la personalità e la condotta complessiva del soggetto e che tenga dunque conto anche del percorso di vita successivo agli episodi ritenuti ostativi.
Ora, nel caso esaminato, la Questura si è limitata a formule di stile e all’enunciazione di principi giurisprudenziali senza riferimenti specifici e concreti alla personalità del ricorrente e alla sua condotta di vita.
In pratica, l’inaffidabilità dell’interessato al corretto utilizzo dell’arma è stata desunta dalla sola querela sporta dalla coniuge (che, peraltro, risulta essere stata presentata in un contesto di separazione giudiziale avviata solo pochi giorni prima, con ricorso al Tribunale), dalla quale è scaturita l’iscrizione dello stesso nel registro degli indagati.
Inoltre, aggiunge il tribunale, la valutazione compiuta dalla Questura e posta a base della revoca della licenza di porto di fucile si rivela contraddittoria rispetto ad altri atti amministrativi, tenuto conto della circostanza che, a soli due mesi di distanza, l’Arma dei Carabinieri, “in ossequio al provvedimento in tal senso emesso dal Prefetto, ha provveduto a restituire al ricorrente l’arma di ordinanza, di cui il medesimo risulta essere tuttora in possesso per il regolare espletamento della sua attività di servizio.
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