Sapevi che se la Prefettura, su proposta del Questore, basandosi su un episodio isolato revoca la licenza del porto d’armi e il decreto di nomina a guardia particolare giurata (oltre al divieto di detenzione armi), può perdere la causa?
Esattamente.
Diciamo subito che la sentenza è favorevole per il ricorrente.
Comunque, al di là della causa in sè la questione è delicata, dal momento che per effetto di un provvedimento di questo tenore la persona può perdere il suo posto di lavoro (come poi è effettivamente accaduto nel caso commentato).
Questa volta leggiamo le pagine del Tar Parma che accoglie i motivi del ricorrente dal momento che egli, guardia particolare giurata sempre immune da mende e con condotta esemplare, ha semplicemente subito la perdita della pistola in quanto sottrattagli con un occasionale furto messo in atto da una donna (con la quale aveva intrattenuto una relazione).
Una cosa importante da segnalare subito: qui si parla di armi ma si parla anche di diritto al lavoro e delle problematiche conseguenze della perdita dell’impiego: a questo proposito la sentenza lascia intendere che una domanda di risarcimento del danno economico procurato dal Ministero dell’Interno può essere inserita all’interno del ricorso, a patto che sia sorretta da prove certe o non venga eliminata dalla rapidissima decisione (di accoglimento) del Tribunale.
La revoca e il divieto
Come sempre, prima qualche concetto generale tratto dalla pronunzia del tribunale e dopo passiamo ad esaminare il caso concreto più da vicino.
Il diniego di detenzione e la revoca della licenza, rispondendo a finalità di tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica, da un lato operano su un piano di valutazioni diverse da quelle penalistiche sui fatti che hanno determinato il negativo giudizio dell'amministrazione, dall'altro non richiedono che gli stessi fatti integrino ipotesi di reato.
La conseguenza è che, in questo tipo di valutazioni, si può anche prescindere dall'accertamento della responsabilità penale di una persona.
Infatti si è affermato che non è richiesto un accertato ed oggettivo abuso nell'uso delle armi: è sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne.
La valutazione di inaffidabilità è attribuita all'autorità amministrativa, chiamata ad un accertamento motivato.
La revoca del decreto di G.P.G.
La revoca, il divieto di detenzione e soprattutto la revoca del decreto di G.P.G. richiedono quindi una valutazione della complessiva condotta e personalità del soggetto e non possono fondarsi unicamente sulla rilevanza di un unico episodio.
In generale l'esistenza di precedenti penali non vale, di per sé, a sorreggere il diniego, se non è fondato su di un'autonoma valutazione in ordine all'incidenza degli elementi considerati, ai fini della qualificazione in termini di buona condotta della personalità complessiva del richiedente stesso.
Il caso
Il provvedimento prefettizio da rilievo al singolo ed isolato episodio, peraltro non dipendente dalla volontà del ricorrente e frutto di un fatto di reato di furto commesso ai suoi danni, della sottrazione
dell'arma in suo possesso, episodio che non può fondare un giudizio di inaffidabilità riguardo al buon uso delle armi, sia in quanto accadimento isolato, sia in quanto determinato dal fatto delittuoso di un’altra persona, oltretutto previamente denunciato dal ricorrente.
L'amministrazione ha invece trascurato la complessiva personalità del ricorrente e la sua condotta, esente da mende.
Il caso è pertanto un vero “caso di scuola”: sono evidenti i profili di eccesso di potere per illogicità, difetto di motivazione e di istruttoria ed arbitrarietà.
La perdita del posto di lavoro della G.P.G.
La musica non cambia neanche sul versante dell’estensione della misura al decreto di GPG: qui non sono state spiegate le ragioni a sostegno di questa grave misura sanzionatoria, tradottasi nella revoca della nomina a guardia particolare giurata, provvedimento che produce la perdita del posto di lavoro del ricorrente.
Il principio del “minimo mezzo”
Dice il Tar: l’Amministrazione ha violato il principio di proporzionalità, creato a livello comunitario ma che penetra anche il procedimento amministrativo in forza del richiamo dell'art. 2 della L. 8.6.1990, n. 241.
Questo fondamentale principio ci dice che le misure afflittive che la P.A. può adottare devono essere rispettose del criterio del minimo mezzo, cioè devono ispirarsi al canone di adeguatezza e del minor sacrificio possibile idoneo a raggiungere lo scopo punitivo cui è diretto un determinato provvedimento restrittivo di facoltà giuridiche.
Ora, il Prefetto doveva limitarsi, sempre che tale decisione fosse stata legittima, a revocare unicamente il porto d’armi ma non anche il decreto di nomina a guardia particolare giurata, dal momento che nessun nesso poteva ravvisarsi tra la perdita incolpevole della pistola, non smarrita ma rubata, e il mantenimento del titolo di guardia giurata.
Guardie Giurate armate e disarmate
Il tutto anche considerando che l'art. 138 comma 1 RD 773/31 non annovera tra i requisiti necessari al conseguimento del menzionato titolo di guardia giurata, anche il possesso della licenza di porto d’armi, ben potendo verificarsi il caso di guardie particolari giurate che prestino tale servizio disarmate.
Come chiedere assistenza allo studio legale?
Per avere assistenza legale o chiedere un parere per valutare la presentazione di un ricorso o un’istanza, basta utilizzare il portale MiaConsulenza.it, oppure inviare il quesito utilizzando la mail dello studio: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Ovviamente è sempre possibile contattare direttamente studio Pandolfi & Mariani all’utenza mobile:
3286090590 o 0773487345