Perdita del grado per rimozione, rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare.
Indice
Adempimento di obblighi e doveri di servizio
L'art. 1393, comma 1, d.lgs. n. 66/2010 regola i rapporti fra il procedimento disciplinare e il procedimento penale.
La norma stabilisce quanto segue.
Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale.
Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale.
Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall'impiego di cui all'articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare.
La disposizione prevede quindi:
una norma di carattere generale (il primo periodo), che sancisce l'autonomia del procedimento disciplinare rispetto al processo penale: il primo, difatti, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale;
due norme di eccezione rispetto alla norma generale, le quali, dunque, comportano la sospensione (o il non avvio) del procedimento disciplinare.
Ciò accade, in particolare:
nei casi di infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore ex art. 1362, ovvero per le sanzioni disciplinari di stato ex art. 1357, allorquando si riscontri o una "particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare" o quando l'amministrazione "all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare" (secondo periodo art. 1393, comma 1);
nel caso in cui il procedimento riguardi "atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio" (terzo periodo).
Nella prima ipotesi di eccezione, ciò che rileva - e che rende doveroso per l'amministrazione di non procedere disciplinarmente - è l'impossibilità o l'estrema difficoltà di raccogliere tutti gli elementi idonei a sostenere una contestazione disciplinare (Cons. Stato, sez. IV, 18 settembre 2018 n. 5451).
In questa ipotesi (e nei due sottocasi che la caratterizzano), ciò che il legislatore intende evitare è un procedimento disciplinare o non destinato a concludersi per difetto di elementi suffraganti la responsabilità, ovvero concluso con un provvedimento viziato per difetto di istruttoria o di motivazione.
Nella seconda ipotesi di eccezione, invece, ciò che importa non è una "difficoltà istruttoria" (che ben può non esservi), quanto la circostanza particolare che le condotte astrattamente costitutivi di illecito disciplinare sono commesse "nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio".
In questa ipotesi, il legislatore intende evitare che la "sovrapposizione" di diverse qualificazioni giuridiche del medesimo fatto (il quale può, sotto diversi parametri, contemporaneamente costituire - in via potenziale - sia illecito penale sia illecito disciplinare) porti l'amministrazione ad una valutazione "viziata" del fatto medesimo, potendo essa ritenerlo un profilo, per così dire, connesso e dunque giustificato dal dovere d'ufficio, laddove invece l'accertamento in sede penale e la riconosciuta penale responsabilità del militare recidono il "legame" ipotizzabile tra svolgimento della funzione e atti o comportamenti che - così diversamente contestualizzati - ben possono configurare illecito disciplinare.
Anche in questa ipotesi, dunque, il legislatore intende evitare l'instaurazione di procedimenti disciplinari il cui esito potrebbe essere viziato per difetto di motivazione, ovvero essere basato (nel caso di esito disciplinare assolutorio) su una ritenuta attinenza dell'atto o della condotta ad un dovere di servizio, che, invece, potrebbe essere escluso in sede penale.
Secondo la Sezione 4 del Consiglio di Stato (sentenza n. 1672 del 26.02.2021) occorre precisare:
in primo luogo, che il problema dei rapporti tra i due procedimenti intanto si pone proprio in quanto vi sia "coincidenza" del fatto, posto che, in presenza di fatti diversi, non vi sarebbero nemmeno "interferenze" o "sovrapposizioni" tra i due procedimenti;
in secondo luogo, che, nelle ipotesi considerate dall'art. 1393 il fatto è sempre lo stesso, ma esso è astrattamente idoneo ad integrare - riguardato sotto diverse angolazioni - sia un illecito penale che un illecito disciplinare.
Non è la "coincidenza" del fatto, dunque, che giustifica l'applicazione della sospensione (essendo tale coincidenza, come si è detto, il presupposto stesso dell'intervento normativo), ma le ipotesi -che presuppongono l'unicità del fatto- indicate dall'art. 1393 e per le ragioni emergenti da una interpretazione (sia letterale che logico-giuridica) delle norme in esame.
Adempimento di obblighi e doveri di servizio
Ciò che occorre, invece, ulteriormente precisare è che questa "sovrapposizione" di qualificazioni giuridiche del medesimo fatto (in sede penale e in sede disciplinare), che si ha nella seconda delle ipotesi sopra rappresentate, è configurabile, per espressa previsione di legge, solo nei casi in cui atti o comportamenti del militare siano commessi non solo "nello svolgimento delle funzioni", ma siano altresì caratterizzati dall'"adempimento di obblighi e doveri di servizio".
Non è, dunque, sufficiente che l'atto o il comportamento tenuto dal militare sia stato commesso "nello svolgimento delle funzioni" (il che renderebbe paradossalmente ex se necessaria la sospensione del procedimento disciplinare in tutti i casi in cui il fatto integri un reato cd. "proprio"), ma che tale atto o comportamento sia stato commesso, nell'ambito non solo nello svolgimento delle funzioni, ma anche in adempimento di obblighi e doveri di servizio.
Il che porta quasi automaticamente ad escludere dalle ipotesi in cui l'art. 1393 indica la necessità della sospensione del procedimento penale tutti quei fatti che - integrando in sede penale reati la commissione dei quali implica una cesura del rapporto di immedesimazione organica o comunque la riferibilità dei medesimi allo svolgimento della funzione o del servizio pubblico (ad esempio, concussione, peculato, etc.) - non possono pertanto riferirsi ad un "adempimento di obblighi e doveri di servizio".
La valutazione della sussistenza di una delle due ipotesi indicate dall'art. 1393 spetta all'amministrazione, la quale deve procedere tenendo altresì conto di un evidente favor del legislatore per l'instaurazione e la conclusione del procedimento disciplinare, cioè senza attendere la conclusione del procedimento penale.
Ciò si evince sia dalla previsione della autonomia del procedimento disciplinare quale ipotesi generale (essendo le ipotesi di sospensione mere eccezioni), sia dal fatto che - proprio perché considera l'instaurazione e conclusione del procedimento disciplinare l'ipotesi generale e dunque "ordinaria" - il medesimo art. 1393 regola i casi in cui la mancata sospensione del procedimento disciplinare abbia portato ad esiti contrastanti (e dunque non tollerabili) con l'esito del procedimento penale:
- nel caso in cui vi sia stata irrogazione di sanzione disciplinare e poi assoluzione perché il fatto non sussiste o il militare non lo ha commesso o esso "non costituisce illecito penale" (comma 2);
- nel caso (speculare al precedente) in cui il procedimento disciplinare si sia concluso senza l'irrogazione di sanzioni ed invece in sede penale vi sia stata "una sentenza irrevocabile di condanna".
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Militari e procedimento disciplinare
Scritto da Francesco Pandolfi e Alessandro MarianiFrancesco Pandolfi e Alessandro Mariani
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Francesco Pandolfi AVVOCATO
Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.
Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.
E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".
La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".
Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.
I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.
Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.
Alessandro Mariani Avvocato
data di nascita: 08/04/1972
Principali mansioni e responsabilità:
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.
www.miaconsulenza.it
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