Il Giudice per le indagini preliminari assolve una persona dalla contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 20 per insussistenza dell'addebito.
Osserva che non era stata acquisita alcuna prova che due fucili marca Beretta, tipo doppietta calibro 12, la cui detenzione è stata regolarmente denunciata dall'imputato, erano ancora funzionanti quando quest'ultimo ne aveva dismesso il possesso.
L’interessato, sentito a sommarie informazioni dalla polizia, aveva precisato di avere reso completamente inutilizzabili le armi nel momento in cui se ne era sbarazzato, smaltendole attraverso i rifiuti domestici.
Il Procuratore Generale della Corte di Appello non condivide però questa tesi e presenta il suo appello.
A suo parere, la condotta tenuta dall'imputato violerebbe il dovere di diligenza richiesto dalla norma incriminatrice; a prescindere dalla versione fornita dall'interessato, infatti, rimane il dato che le armi non sono state trovate nella disponibilità di colui che ne aveva denunziato la detenzione, il quale, di conseguenza, non le aveva custodite con la necessaria diligenza.
Il ricorso viene ritenuto fondato (Corte di Cassazione Sez. 1 penale, sentenza n. 28799 del 2 luglio 2019).
Secondo il Giudice per le indagini preliminari, infatti, la condotta di dismissione del possesso di armi regolarmente detenute, mediante smaltimento coi rifiuti domestici, prima rese inutilizzabili e quindi prive di pericolosità per la sicurezza pubblica, non sarebbe sussumibile nella fattispecie prevista dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 20.
La Corte pensa che questa interpretazione sia sbagliata.
La norma dispone nel senso che la custodia delle armi deve essere assicurata "con ogni diligenza nell'interesse della sicurezza pubblica".
L’obbligo, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi è adempiuto a condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza.
Nel caso, il giudice era tenuto a verificare se fosse osservante del dovere di custodia diligente la condotta dell'imputato che si era liberato del possesso di due fucili tagliandoli personalmente in più parti, poi smaltite nei rifiuti domestici.
Il giudice per le indagini preliminari, anzichè verificare, ha limitato la sua valutazione solo ad un profilo della condotta contestata (lo smaltimento delle parti, ottenute dopo il taglio dei due fucili resi non funzionanti) e non ha considerato che l'obbligo di diligenza nella custodia delle armi impone al privato, più in radice, di adottare le cautele necessarie ad evitare la perdita del loro possesso in contrasto con le procedure previste, in ragione della loro intrinseca pericolosità, dalla normazione primaria e secondaria, che regolamenta la materia al fine di evitare la circolazione di armi o parti di armi non regolarmente denunziate anche se ricavate dalla "riattivazione" di quelle legittimamente detenute.
A questo proposito, nella legislazione attuale il privato che non intende cederle a terzi, può legittimamente perdere il possesso delle armi solo attraverso la formale procedura di c.d. "disattivazione", regolata dapprima dalla Circolare 577/6.50106.D.2002 del 20 settembre 2002 e, più di recente, dal decreto del Ministro dell'interno 8 aprile 2016 che, come previsto dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 13-bis ha dato attuazione alla direttiva 91/477/CEE, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi.
La procedura implica l'esecuzione di operazioni tecniche tali da rendere tutte le parti essenziali di un'arma da fuoco portatile, da guerra o comune, definitivamente inservibili e impossibili da asportare, sostituire o modificare ai fini di un'eventuale riattivazione.
Altre informazioni?
Avv. Francesco Pandolfi
3286090590
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