Un vecchissimo divieto di detenzione armi, basato all’origine su un procedimento penale poi concluso con una sentenza pienamente assolutoria, non ha più alcuna ragione di essere mantenuto e deve essere rimosso nel caso non siano sopraggiunti altri elementi ostativi.
Ti chiederai: se mi trovassi in una situazione del genere come dovrei muovermi per chiedere al Ministero dell’Interno e, dunque, al Prefetto, la rimozione del divieto?
La sentenza penale di assoluzione, che chiude il processo penale, è veramente titolo per smontare il provvedimento amministrativo?
Ebbene, la risposta è si.
La conferma arriva dalla normativa e da alcune sentenze dei tribunali, tra le quali segnaliamo la n. 1188/19 della Prima Sezione del Tar Palermo, non appellata.
In generale, la vicenda giudiziaria penale è pur sempre un inquinante sul fronte amministrativo per tutto quanto attiene al discorso armi.
L’Autorità può infatti trarre da quella vicenda tutta una serie di elementi e di convincimenti sull’affidabilità e/o pericolosità di quella persona.
Dunque, la prima cosa da considerare, in presenza di una situazione come questa, è il decorso del tempo dalla conclusione della causa penale con la sentenza assolutoria.
Se si vengono a sommare da una parte la sentenza di assoluzione e, dall’altra, lo scorrere del tempo dal divieto, è evidente che questi due fattori non possono essere ignorati dalla Prefettura per procedere al favorevole riesame dell’istanza con la quale si chiede la revoca del già citato divieto.
Non è, dunque, sufficiente per l’Amministrazione invocare il precedente e remoto divieto; piuttosto deve procedere ad una concreta prognosi che tenga conto di tale evento ma anche della condotta tenuta dall’interessato nell’ampio lasso di tempo successivo al fatto.
In pratica, l’Autorità deve essere in grado di mettere nero su bianco la persistenza degli indici concreti sull’eventuale ed attuale pericolosità o inaffidabilità della persona interessata sull’uso delle armi.
La rimozione del divieto passa dunque per la fase dove l’amministrazione tiene conto di tutto questo; è evidente che se il Ministero dovesse persistere nel proprio atteggiamento negativo, si aprirà allora per forza la strada del ricorso.
Per tornare un attimo sul caso preso come spunto per il commento, l’amministrazione ha riscontrato l’istanza del ricorrente (riproposta dopo oltre 30 anni dal precedente divieto e a valle di una sentenza ampiamente assolutoria rispetto ai fatti allora valutati come ostativi) laconicamente affermando che “…non risultano motivi utili a riconsiderare le valutazioni di quest’ufficio e, pertanto si conferma il provvedimento di divieto di detenzione di armi e munizioni del 1984”.
Agli occhi dei Magistrati, questa specie di motivazione è apparsa giustamente come una mera clausola di stile e, dunque, del tutto inappropriata.
Altre informazioni?
Avv. Francesco Pandolfi
3286090590
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