Martedì, 21 Gennaio 2020 19:32

Parolacce e querele tra vicini: rischi per le armi

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Cosa fare se Questura e Prefettura mostrano di avercela con te?

Come devi muoverti se, segnalata una lite di quelle classiche del vicinato dove volano parole grosse ad un certo punto la Questura ti revoca la licenza di porto di fucile uso caccia e, dopo qualche mese, la Prefettura fa scattare pure un divieto di detenere armi a tuo danno?

 

 

Come mai non ti ritengono più affidabile?

 

Cioè: come fanno loro a basarsi solo su reciproche querele dove si racconta di parolacce ed insulti, ma senza che queste querele abbiano poi avuto effettivamente un seguito processuale (vedi anche  offendere e insultare rischi per le armi )?

 

In sostanza, come è possibile che l’Amministrazione si accontenti di una semplice denuncia senza accertamenti specifici e non svolga i suoi autonomi approfondimenti per capire se sei improvvisamente diventato inaffidabile, quando magari lo sei stato per decenni precedenti?

 

Sembrano situazioni strane e paradossali ma, ti assicuro, si verificano più spesso di quanto tu possa pensare.

 

Allora, in queste circostanze alla fine come è meglio muoversi se sei convinto di essere pienamente affidabile e che, quindi, quanto afferma il Questore non è vero, magari perché le querele reciproche sono state chiuse oppure non c’è stato alcun autonomo accertamento amministrativo sui fatti raccontati nelle denunce?

 

Cosa è meglio fare?

 

Come spiegare al Ministero dell’Interno che questo battibecco tra vicini non ha avuto alcuna conseguenza e che non è un reale indice della tua pericolosità o inaffidabilità?

 

 

Sono domande ripetute mille volte: tante sono infatti le persone che si ritrovano a dover gestire una situazione di questo tipo dove, ad un certo punto, l’amministrazione pare che ti ostacoli in ogni modo.

 

Forse sarà capitato anche a te.

 

Oppure, magari, a qualche persona che conosci.

 

Esiste allora un modo per cercare di risolvere il problema?

 

 

Bene, per rispondere alla domanda principale del titolo, ossia la circostanza delle parolacce e querele tra vicini: rischi per le armi, bisogna prima di tutto chiedersi perché il Questore arriva a sostenere che sei una persona che si lascia coinvolgere in liti e, soprattutto, perché attribuisce automaticamente un significato deteriore a questo banale episodio tra vicini un po’ arrabbiati (ma niente di più).

Ma poi, come mai l’amministrazione sembra trascurare il fatto che il procedimento penale non ha avuto sviluppi?

Vediamo allora cosa è meglio fare per cercare di uscire da questo tunnel.

 

 

La memoria difensiva

Sicuramente devi agire: bisogna presentare una memoria difensiva già nella fase di avvio del procedimento amministrativo per la revoca della licenza: spiega e documenta nelle osservazioni il dettaglio del reale svolgimento dei fatti, mettendo in luce che ci sono state reciproche querele in relazione ad una lite di vicinato, in occasione delle quali sono volate parole grosse con minacce apparentemente gravi ma senza conseguenze.

 

Come ha efficacemente osservato il Tar per l’Emilia Romagna, vero è che se dovessimo dare retta a tutte le volte che una persona in preda all’ira nel corso di una lite dice ad un’altra che l’ammazzerà, il nostro paese sarebbe il primo al mondo nella classifica degli omicidi.

 

Dunque, se è possibile, già in questa prima fase chiedi aiuto ad un avvocato.

 

L’amministrazione non potrà e non dovrà ignorare le tue osservazioni che, se adeguatamente motivate, dovrebbero portarla a rivedere la tua posizione.

 

Come già detto in altre occasioni diciamo in teoria perché, si sa, Questura e Prefettura abbastanza spesso si limitano a dire no quasi in automatico, pur non avendo riscontri oggettivi in mano che sconfessino quanto da te accuratamente dimostrato, ma si limitano a trascrivere sui loro provvedimenti di rigetto le classiche frasi ciclostile uguali per tutti i casi simili.

 

Questo modus operandi, va detto, subito, è stato sonoramente segnalato dal Tar per l’Emilia Romagna, i cui Magistrati hanno finalmente scritto una sentenza con la S maiuscola, la n. 47/20 pubblicata il 20.01.2020.

 

Una sentenza che, secondo me, andrebbe affissa come manifesto, tanto è scritta bene.

 

Ma andiamo avanti con la procedura, perché a te in definitiva interessa uscire dal tunnel e, allora, a questo punto come procedere sul diniego?

 

 

Il ricorso al Tar 

Per procedere devi passare alla causa amministrativa.

 

Nella fase del ricorso, particolare attenzione andrà riservata alla ricostruzione dei fatti e al sostegno dei motivi di diritto.

 

Se la Questura emette la sua revoca e, mentre è in corso la causa amministrativa arriva pure il divieto detenzione armi, devi impugnare ovviamente anche questo provvedimento con i motivi aggiunti.

 

Se ti sei preoccupato di smontare quelle teorie dell’amministrazione con argomenti dimostrabili, il Tar ti darà ragione.

 

Del resto, è quello che si è verificato ultimamente con la già segnalata ed ottima sentenza n. 47/2020.

 

Il tribunale non potrà darti torto in quanto l’amministrazione è chiamata a dare la sua risposta discrezionale con una solida motivazione.

 

Non mi stancherò mai di ripeterlo: in pratica c’è l’obbligo di motivazione per il Ministero, cioè il suo preciso obbligo di collegare i fatti ad un indice di pericolosità, ovviamente se esiste.

 

In sostanza: non gli basterà far capo all’informativa e alle querele reciproche, ma dovrà approfondire per conto suo, al fine di accertare se quanto denunciato è attendibile o no, specie appunto se le vicende penali sono state archiviate, non proseguite, concluse con assoluzione, con il non doversi procedere per difetto di querela e così via.

 

 

A questo punto, in conclusione è bene citare qui un passaggio della pregevole sentenza n. 47:

“In troppe circostanze questo Collegio ha dovuto constatare che, a fronte di una vicenda che è sottoposta all’accertamento della autorità giudiziaria penale, scatta automaticamente la revoca delle autorizzazioni di polizia.

Orbene è ovvio che le valutazioni circa la rilevanza penale delle vicende oggetto di denuncia penale appartengono prima alla Procura della Repubblica e poi al giudice penale, ma ciò non impedisce all’autorità amministrativa di fare autonomi accertamenti attraverso le forze di polizia, che potranno essere utili anche all’autorità giudiziaria o di utilizzare quelli già disposti da quest’ultima.

L’autorità di polizia ben potrebbe procedere alla revoca ritenendo il venir meno dell’affidabilità anche in caso di irrilevanza penale della vicenda segnalata, così come può ritenere non rilevante sul piano delle valutazioni che le competono, un episodio segnalato ed ancora all’attenzione dell’autorità giudiziaria.

Nel caso di specie vi sono state reciproche querele in relazione ad una lite di vicinato in occasione delle quali volano parole grosse con minacce apparentemente gravi (se tutte le volte che una persona in preda all’ira nel corso di una lite dice ad un’altra che l’ammazzerà si passasse dalle parole ai fatti, il nostro paese sarebbe il primo al mondo nella classifica degli omicidi).

Ed allora, tenuto conto che il ricorrente aveva dato piena prova di affidabilità per oltre un quarantennio, prima di ritenere che i cattivi rapporti con un vicino di casa avrebbero potuto spingerlo ad usare contro quest’ultimo l’arma posseduta, sarebbe stato necessario verificare se questi rapporti burrascosi si fossero manifestati in precedenza cercando di capire quale delle due versioni è più vicina alla realtà.

In simili casi il ritiro delle armi da parte della forza di polizia intervenuta può essere un’opportuna misura prudenziale, ma prima di procedere alla formale revoca dell’autorizzazione occorre fare un minimo di istruttoria affidandola alla stessa autorità di polizia intervenuta.

In sostanza la giusta esigenza preventiva di evitare un uso illegittimo di armi legalmente detenute, non deve trasmodare in un esercizio della discrezionalità, che questo giudice ha chiamato in altre occasioni difensivo, volto innanzitutto ad evitare anche il rischio remotissimo che tale uso vi sia e che qualcuno possa imputare alla Questura o alla Prefettura di non aver a suo tempo revocato l’autorizzazione”.

 

 

Altre informazioni?

Contatta l’Avv. Francesco Pandolfi

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Letto 4224 volte Ultima modifica il Lunedì, 27 Gennaio 2020 15:19
Francesco Pandolfi e Alessandro Mariani

Francesco Pandolfi

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Francesco Pandolfi AVVOCATO

Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.

Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.

E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".

La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".

Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.

I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.

Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.

 

 

Alessandro Mariani Avvocato

data di nascita: 08/04/1972

 

Principali mansioni e responsabilità: 
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.

 

 

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