Un’eventuale condanna penale non è uno sbarramento assoluto per l’autorizzazione a detenere armi. Orientamenti giurisprudenziali sulla questione della riabilitazione.
Armi, condanna e rigetto domanda di rinnovo del porto di fucile uso caccia
Armi, il Tar Calabria imposta la questione della riabilitazione
Armi, il pensiero del Tar Calabria
Armi, l'importanza della pronuncia del TAR
Armi, condanna e rigetto domanda di rinnovo del porto di fucile uso caccia
Spesso una condanna per un reato, soprattutto quando si tratti di delitti, può comportare la preclusione di svolgere determinate attività e/o ottenere determinate licenze/ autorizzazioni.
E' così anche in materia di armi, dove una condanna penale ai sensi dell'art. 43 co 1 T.U.L.P.S. preclude per i condannati la possibilità di ottenere la licenza di porto d'armi.
Bisogna chiedersi, in ogni caso, quale meccanismo giuridico scatta quando interviene la riabilitazione del condannato.
Ebbene, su questo punto le sentenze prospettano una tesi più restrittiva ed un’altra più permissiva (quest’ultima anche detta costituzionalmente orientata), relativamente all'interpretazione letterale da dare all'art. 43 T.U.L.P.S.
Armi, il Tar Calabria imposta la questione della riabilitazione
Con la sentenza n. 390 del 2020 del Tribunale amministrativo per la Calabria pubblicata il 03.06.2020, sezione distaccata di Reggio Calabria (appellata), i giudici amministrativi sono tornati sulla questione del rigetto della domanda di rinnovo del porto di fucile in relazione all’argomento sopra tracciato.
Nel caso esaminato il ricorrente, soggetto che nel lontano 2009 era stato imputato in un processo penale, presentava domanda al Questore di Reggio Calabria per il rinnovo del permesso di porto di fucile per caccia che aveva ottenuto nel xxxx e che era scaduto nel xxxxxs.
Il Questore, nel provvedimento di rigetto della domanda, motivava lo stesso con la supposta mancanza dei requisiti di affidabilità e specchiata condotta del richiedente.
In sostanza, si legge nel provvedimento di rigetto della domanda di rinnovo, pur essendo sopravvenuta la riabilitazione essa non cancellerebbe il disvalore del fatto reato posto alla base della condanna.
Da tanto il Questore desumeva una sostanziale pericolosità sociale del richiedente, una minaccia per la pubblica sicurezza.
Armi, il pensiero del Tar Calabria
I giudici amministrativi sostenevano che, pur non essendo configurabile un diritto soggettivo alla detenzione di armi, non si può ritenere sussistente una discrezionalità amministrativa anche quando è intervenuta la riabilitazione del condannato.
In sostanza il TAR Calabria fa proprio l'orientamento del Consiglio di Stato che ha previsto un’interpretazione costituzionalmente orientata del divieto di cui al 1 comma dell'art. 43 T.U.L.P.S., norma che postula che il divieto di cui al precedente articolo venga meno in caso di sopravvenuta riabilitazione.
Dunque il TAR Calabria accoglieva il ricorso dichiarando come illegittima la valutazione “statica”, ovvero determinata solo dalla presenza del precedente per cui era intervenuta la riabilitazione, cristallizzata nel provvedimento di rigetto emesso dal Questore di Reggio Calabria.
Il collegio, quindi, sanzionava l’amministrazione competente in quanto non aveva provveduto a riesaminare se il ricorrente possedesse o meno i requisiti necessari per il rilascio dell’autorizzazione a detenere armi e, in caso negativo, di motivarne più accuratamente le ragioni.
Armi, l'importanza della pronuncia del TAR
Ormai la giurisprudenza più recente è tendenzialmente univoca nell'interpretazione costituzionalmente orientata del 1 comma dell'art. 43 T.U.L.P.S.
Il dato fondamentale per giustificare il rigetto di una domanda di rinnovo o rilascio del porto d'armi non può essere il dato storico dell'esistenza di una condanna in capo al richiedente.
Quello che andrà verificato, di volta in volta e al momento della presentazione della domanda è se il richiedente possa o meno costituire un pericolo per la pubblica incolumità.
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