I reati che non fanno emergere una personalità violenta del soggetto non dimostrano la sua inaffidabilità, ne incidono sulla sua buona condotta ai fini del rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale.
Dirompente sentenza pubblicata il 29.12.2020 dal Tar Bari, con la quale i magistrati sgretolano un provvedimento prefettizio.
Vediamo, in sintesi, qualche dettaglio tanto per capire la trama della pronuncia, interessante ed utile allo stesso tempo.
La persona interessata, titolare di licenza di commercio spiega di aver conseguito, fin dal 2004, il permesso di porto d’armi per difesa personale, vista la pericolosità della sua attività professionale esercitata in numerosi punti vendita, dislocati su un vasto ambito territoriale.
Nel rivendicare l’attualità dell’esigenza di portare armi, la parte contesta la legittimità del provvedimento con il quale il Prefetto gli ha negato il rinnovo del titolo di polizia, a fronte della carenza dei requisiti soggettivi: in particolare, pare che il Prefetto richiami alcuni procedimenti penali, tuttora pendenti, per reati strettamente connessi all’attività lavorativa come, ad esempio, truffa, ricettazione, dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture inesistenti ed altro.
Ebbene, pur essendo questo il preludio, i giudici si mostrano in completo disaccordo con il Prefetto ed accolgono il ricorso dell’imprenditore.
In effetti ritiene il Collegio che il provvedimento, in quanto fondato sull’esistenza di procedimenti penali pendenti a carico dell’interessato, è viziato sotto l’aspetto motivazionale e in riferimento allo svolgimento di attività istruttoria inadeguata.
In pratica, sostiene il Tar che i reati contestati non rivelano la presenza di una personalità violenta, né dimostrano l’emersione di condotte gravemente offensive di interessi costituzionalmente tutelati, tali da consentire l’espressione di un giudizio di complessiva inaffidabilità del soggetto, già titolare di porto d’armi.
Né, altrimenti, emerge dall’atto impugnato alcuna motivata valutazione della perdita in capo al ricorrente del requisito della buona condotta.
Ogni valutazione al riguardo non può infatti essere ricondotta alla semplice costatazione che c’è un procedimento penale, per di più riferibile a fattispecie di reato non connesse all’uso delle armi, non consumate in danno dell’integrità delle persone e delle cose.
Piuttosto, l’Amministrazione avrebbe dovuto acquisire ulteriori elementi per arrivare alla formazione di un più compiuto giudizio sulla personalità del richiedente il rinnovo.
Ciò in quanto, per regola generale, si impone all’Amministrazione la verifica del possesso di un requisito che investe nel complesso la persona che aspira al rilascio dell’autorizzazione di polizia, che va valutato in relazione all’intera condotta di vita dell’interessato, sia nell’attualità che in periodi risalenti, con riferimento ai rapporti con gli altri consociati, alla generale osservanza delle comuni regole di convivenza sociale, all’assenza di comportamenti da cui possa desumersi, anche in via prognostica, un giudizio di pericolosità nell’esercizio delle prerogative o attività soggette ad autorizzazione.
Dunque, in conclusione, il rigetto dell’istanza di rinnovo viene annullato in modo categorico; questo a dimostrare che anche quando i provvedimenti amministrativi sembrano solidi ed attendibili, c’è sempre la possibilità di disarticolarli con un opportuno e ben assestato ricorso, ovviamente incontrando il favore del Collegio di giudici.
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