Rigetto dell’istanza di rilascio della licenza di porto di fucile uso caccia, basato su ipotesi di parentela e convivenza con familiare nei confronti del quale risulta reato di minaccia.
Il Ministero dell’Interno può vietare la detenzione delle armi, o il rilascio del porto d’armi, ad un soggetto legato da rapporti di parentela con soggetti controindicati, nel timore che questi possano esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei propri congiunti anche solo nella fornitura delle armi.
Tuttavia, se è dimostrato che il ricorrente, già da qualche tempo, ha una residenza diversa da quella del padre (non solo un diverso indirizzo ma anche un diverso Comune), il provvedimento di rigetto risulterà fondato su un presupposto di fatto del tutto erroneo.
Si tratta del caso affrontato e risolto dal Tar Reggio Calabria con la sentenza n. 141/2020, pubblicata in data 02.03.2020.
Il succo della vicenda è, in due battute, questo qui, di seguito riassunto nel fatto.
Non importa che l’errore sia stato inizialmente indotto dallo stesso interessato il quale, in seno all’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, ha compilato il riquadro relativo alla propria situazione familiare indicando tra i familiari anche il padre, visto che, già dal decreto di citazione diretta a giudizio della Procura della Repubblica, era possibile evincere la diversa residenza del familiare, cosa che avrebbe richiesto, quanto meno, un approfondimento istruttorio preordinato a verificare se vi fossero le condizioni per dubitare della corrispondenza tra la residenza anagrafica ed il domicilio dei due soggetti.
Insomma: l’amministrazione avrebbe dovuto approfondire e non lo ha fatto.
Per questo motivo il ricorso della parte privata è stato accolto.
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