Il dna del mobbing
Inevitabile partire dalla nozione, anche se molti di voi l’hanno magari già cercata e trovata in altri siti, con tutte le sfumature e le precisazioni del caso.
Per esempio, alcune tra queste nozioni ci riportano il mobbing come una sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all'aggressione fisica.
Qui diciamo che il mobbing è una forma di oppressione in ambiente lavorativo, messa in atto in modo sistematico da un superiore nei confronti di un dipendente, come se ci si trovasse in presenza di un piano distruttivo architettato con meticolosa cura, un “disegno” (come spesso dice la giurisprudenza e parte della dottrina più accreditata), una trama ordita a danno di qualcuno.
Il mobbing può essere di intensità tale da provocare danni seri a chi lo subisce, tanto a livello fisico quanto psichico.
Cosa non è mobbing
Il rapporto lavorativo problematico, cioè che non fila via liscio, non è mobbing.
Su questo aspetto del problema, i tribunali sono molto precisi: arrivare a dimostrare in causa il mobbing non è certo cosa semplice.
Molti ricorrenti, ad esempio, hanno tentato la strada del processo al fine di chiedere giustizia al magistrato, ritenendo che determinati comportamenti messi in atto nei loro confronti siano stati caratterizzati da oppressione sistematica e lesiva.
Tuttavia, seguendo questo tracciato non sono riusciti ad avere soddisfazione.
Ad esempio, in un caso trattato dal Tar Napoli (sentenza n. 3014 del 6 giugno 2017) il ricorrente, appartenente ad un’amministrazione militare, non è riuscito a far passare come mobbing un rapporto lavorativo problematico, costellato di licenze negate, ricorsi, lettere di richiamo, punizioni, domande amministrative sempre evase in ritardo, istanze per accesso agli atti sistematicamente negate, e cosi via.
Qui è stato certamente rilevato ed accertato, appunto, un rapporto lavorativo non idilliaco, ma privo dei veri del “fenomeno mobbing”.
Come si riconosce il mobbing
Il mobbing si riconosce invece in causa se vi è la prova che il rapporto lavorativo, con le sue dinamiche di subordinazione, ha imboccato una deriva patologica.
Ecco: la patologia è il dna del mobbing, la vera malattia del rapporto di lavoro.
Riconoscere il disegno persecutorio messo in opera da un superiore nei confronti di un sottoposto richiede la conoscenza di criteri, da utilizzare come punti di riferimento.
Le condotte persecutorie devono essere molte e ripetute, possono essere illecite oppure lecite se prese una per una;
il comportamento del datore di lavoro deve essere mirato: il focus del suo atteggiamento deve essere diretto verso l’annientamento del dipendente;
il mobbing si può riconoscere se arreca danni alla persona, disturbi, disagio;
importante è raggiungere la prova del nesso causale, cioè il collegamento reale, tra condotta datoriale e danno all’integrità psico fisica del lavoratore;
il disegno persecutorio va dimostrato, mettendo in chiaro i provvedimenti o comportamenti vessatori e discriminatori.
Il lavoro dello studio legale sul mobbing
L’avvocato è la figura di riferimento per esaminare dall’inizio la storia del suo cliente.
Con un ascolto profondo e uno studio accurato della documentazione offerta dall’assistito, sarà possibile decifrare le condotte vessatorie al fine di intentare il contenzioso con più che ragionevole probabilità di successo.
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