Il giudizio prognostico della Prefettura deve essere supportato da precisi elementi di fatto, nei casi in cui l’Autorità vuole adottare un provvedimento di revoca.
Questo, infatti, si pone sempre alla fine di un’attività istruttoria completa e coerente: non può essere basato su una severità valutativa irragionevole.
Se così non fosse, il divieto potrebbe essere impugnato e portato all’attenzione del Giudice, con alta probabilità di accoglimento del ricorso.
Indice
La motivazione del provvedimento
Ad occuparsi del delicato tema, ultimamente il Tar Catanzaro, con la sentenza n. 466/2020 del 18.12.2019 e pubblicata in data 14.03.2020.
Vediamo, dunque, il dictum della Prima Sezione del Tribunale amministrativo.
In sintesi: un addetto a servizi di vigilanza si rivolge al Tar chiedendo l’annullamento del divieto di detenzione di armi, oltre ai provvedimenti presupposti: si lamenta dell’illegittimità del provvedimento per eccesso di potere e carenza di motivazione.
Il Ministero dell’Interno, dal canto suo, contesta e chiede la reiezione del ricorso per infondatezza.
Con ordinanza cautelare il Tar accoglie in prima battuta l’istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, in ragione degli effetti del provvedimento sull’attività professionale del ricorrente di guardia particolare giurata.
Poi, il Consiglio di Stato respinge l’appello cautelare proposto dall’Amministrazione.
In sostanza, il provvedimento della Prefettura è motivato su questi presupposti:
a) le segnalazioni per detenzione per uso personale di sostanza stupefacente” nel 2018;
b) il deferimento alla Procura della Repubblica per l’ipotesi di detenzione illegale di armi ed oggetti (tre coltellini delle dimensioni di 8, 6 e 3 cm secondo quanto dichiarato dal ricorrente e non contestato dalla P.A.) atti ad offendere;
c) il prospettato e conseguente rischio di abuso nell’utilizzo delle armi;
Nel suo ricorso la persona interessata mette in risalto:
a) il rilascio, a suo beneficio, della licenza di porto di fucile uso caccia appena due anni prima;
b) l’insussistenza di effetti psicotropi o droganti della marijuana rinvenuta nel suo veicolo, trattandosi di prodotto legalmente in commercio, da questi acquistato e come comprovato dall’affermata (e non contestata) esibizione del relativo scontrino alle Forze di Polizia;
c) la mancata verifica da parte delle Forze dell’Ordine, pure espressamente richiesta, della riconducibilità della sostanza alla cd. erba legale;
d) che la presenza dei coltellini nel suo autoveicolo andrebbe posta in relazione alla necessità di consumare pasti nel corso dell’attività di vigilanza, anche notturna, e alla titolarità della tessera amatoriale per la raccolta dei funghi;
e) l’insussistenza, conseguentemente, dei necessari e concreti elementi fattuali idonei a sorreggere il giudizio di pericolo di abuso delle armi formulato sul suo conto dal Prefetto.
Vediamo a questo punto i ragionamenti del giudice, tanto per avere un quadro complessivo della vicenda e del modo corretto di risolvere la questione proposta.
L’art. 39 del T.U.L.P.S. stabilisce che il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, alle persone ritenute capaci di abusarne.
Non è necessario, dunque, che vi siano episodi di abuso effettivo delle armi ovvero di trascuratezza nella loro custodia, essendo sufficiente il semplice rischio di tale abuso.
Sono certamente rilevanti le manifestazioni di aggressività verso le persone, seppure senza l'impiego di armi, così come manifestazioni di scarso equilibrio, scarsa capacità di autocontrollo oppure la vicinanza o contiguità ad ambienti della criminalità organizzata e anche la frequentazione di persone gravate da procedimenti penali e di polizia.
In termini più generali, deve ritenersi sufficiente “un’erosione anche minima del requisito della totale affidabilità del soggetto”.
La motivazione del provvedimento
D’altro canto, la scarsa affidabilità nell’uso della armi o una insufficiente capacità di dominio dei suoi impulsi ed emozioni, pur fondandosi legittimamente su considerazioni probabilistiche, non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere il soggetto richiedente pericoloso o comunque capace di abusi, dovendo pertanto l’Amministrazione valutare in concreto l’incidenza dei fatti posti a fondamento del diniego in ordine al giudizio di affidabilità o probabilità di abuso delle armi.
Ebbene, il Collegio resta dell’avviso che il giudizio prognostico della Prefettura non pare adeguatamente supportato dagli elementi fattuali indicati nel provvedimento di revoca, dato che quest’ultimo è l’esito di un’attività istruttoria insufficiente e risulta connotato da irragionevole severità valutativa (vedi anche: divieto detenzione come contestare la prefettura).
Per un verso, infatti, la medesima Prefettura, dopo aver respinto la richiesta del ricorrente di porto d’armi nel 2011 gli ha rilasciato, nel 2016, il porto di fucile uso caccia, evidentemente reputando sussistenti le condizioni di affidabilità e di “buona condotta”, con la conseguenza che il successivo divieto di detenzione di armi e munizioni del 2018 avrebbe meritato un supporto motivazionale ben più robusto e convincente, soprattutto in considerazione dei gravissimi effetti pregiudizievoli dell’atto sull’attività lavorativa del ricorrente, tale da comportare, come dallo stesso documentato, il recesso del datore di lavoro.
In pratica: “in presenza di indagini penali a carico di una Guardia giurata, la Autorità prefettizia non può limitarsi a richiamare il fatto storico della mera esistenza di dette indagini […] essendo per contro chiamata a dare conto della concreta incidenza delle condotte asseritamente poste in essere dall’interessato e del loro grado di effettivo disvalore, sugli indefettibili requisiti di affidabilità condizionanti la possibilità di esplicare l’attività di guardia giurata”.
D’altronde non è contestata, né smentita, l’asserzione del ricorrente circa il carattere legale della sostanza rinvenuta nella sua auto nel corso del controllo effettuato nel 2018. A fronte dell’affermazione di quest’ultimo di aver acquistato il prodotto presso un esercizio commerciale (con l’affermata esibizione dello scontrino) inoltre, non è stata compiuta alcuna verifica, pure espressamente richiesta dal ricorrente, sulla quantità di principio attivo presente nella sostanza sequestrata dalla Forze dell’Ordine.
Neppure si è dato cenno, nel provvedimento, a frequentazioni del ricorrente con soggetti coinvolti nel traffico o nel consumo di sostanze stupefacenti.
Nessuna informazione, inoltre, è stata resa disponibile dall’Amministrazione resistente, neanche nel corso del processo, in ordine agli sviluppi del procedimento penale – ancora in fase preliminare – scaturito in esito alla segnalazione di notizia di reato per la detenzione illegale di armi ed oggetti atti ad offendere, mentre al riguardo il ricorrente, incensurato, ha prospettato giustificazioni (utilizzo quali “posate” degli stessi e connessione con l’attività amatoriale di raccolta dei funghi) che non appaiono del tutto inverosimili o implausibili.
In conclusione: il ricorso viene accolto e il d.d.a. annullato (vedi anche: divieto detenzione armi come scardinarlo).
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