Domenica, 27 Dicembre 2020 09:42

Armi, Ministero trascura videoregistrazione: revoca licenza sbagliata

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Litigi tra persone filmati da telecamere. Episodio di violenza e minaccia che coinvolge familiari. Querele reciproche. Verifica delle Forze dell’ordine attraverso i video registrati dall’impianto di sorveglianza installato presso un’abitazione.

 

 

  

Padre e figlio impugnano la revoca disposta dalla Questura della loro licenza di porto di fucile da caccia.

 

Il Commissariato procede al ritiro cautelare, ai sensi dell'art. 39 Tulps, delle armi e del titolo di polizia in suo possesso, in relazione ad un episodio di violenza e minaccia avvenuto in precedenza, che ha visto coinvolto un familiare insieme ad altro familiare con reciproche querele.

 

Vediamo perché.

 

Secondo la Questura la conflittualità intacca il requisito della buona condotta ed assoluta affidabilità, indispensabile per essere titolari di licenza di porto d'armi e fa scattare una valutazione negativa circa il permanere della titolarità dell'autorizzazione.

 

Ritiene, quindi, che siano venuti meno i requisiti soggettivi previsti dalla legge per essere titolare di autorizzazioni di polizia in materia di armi, in particolare la buona condotta, avendo posto in essere una condotta minacciosa che non dà più l'assoluta garanzia di non abusare del titolo di polizia e delle armi possedute.

 

Nel caso specifico (Tar Bari, sentenza n. 1680/2020 pubblicata in data 22.12.2020) La Questura, però, non prende in considerazione l’assenza di precedenti e la regolarità del possesso delle armi, nonché, per quanto riguarda il padre, la lunga esperienza in materia venatoria.

 

Inoltre, sembra trascurare l’accertamento di quanto accaduto e la valutazione dello stesso accaduto ai fini del giudizio di non affidabilità.

 

Ebbene, gli accadimenti consistono in un litigio tra parenti, sembra innescato dal fastidio dato dall’abbaiare notturno di cani appartenenti ad uno dei protagonisti dell’episodio.

 

I fatti non sono solo oggetto delle opposte querele presentate dai litiganti ma anche di accertamenti compiuti dalla Polizia di Stato.

 

Dagli accertamenti si ricava che la versione dell’episodio offerta dai ricorrenti, ossia di aver subito un’aggressione, è stata verificata dalle Forze dell’ordine attraverso i video registrati dall’impianto di sorveglianza installato presso l’abitazione degli antagonisti.

 

Dal video non risulta sulla scena del litigio la presenza o l’uso di armi.

 

Per altro, viene anche riportato che, in esito al litigio, all’interessato il pronto soccorso diagnostica un trauma cranico non commotivo e una contusione alla spalla sinistra.

 

In seguito, come sopra accennato, vista la conflittualità e la querela, si procede al ritiro a scopo cautelativo delle armi e delle munizioni in possesso degli interessati, nonché dei titoli di polizia abilitanti all'acquisto di armi.

 

Stante tutto ciò, il Tar accoglie il ricorso di padre e figlio.

 

Dice il Collegio: i giudizi dell’amministrazione sono contraddittori, in quanto parlano genericamente di un episodio di violenza e minaccia e del venir meno del requisito della buona condotta ed assoluta affidabilità, dando per scontato che gli istanti abbiano posto in essere una condotta minacciosa che non dà più l'assoluta garanzia di non abusare del titolo di polizia e delle armi possedute.

 

In realtà quei giudizi svelano lacune nell’istruttoria procedimentale e nella motivazione dei provvedimenti: cioè essi minimizzano ciò che emerge dalle investigazioni riferite ed esprimono conclusioni incoerenti rispetto al materiale conoscitivo a disposizione, in gran parte formato dalla stessa Polizia di Stato (dal video non risulta sulla scena del litigio la presenza o l’uso di armi; per altro, viene anche riportato che, in esito al litigio, il pronto soccorso diagnostica al ricorrente un trauma cranico non commotivo).

 

Ciò comporta l’accoglimento dei ricorsi e la condanna del Ministero dell’Interno alle spese di causa a favore di ciascun ricorrente.

 

 

 

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Francesco Pandolfi e Alessandro Mariani

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Francesco Pandolfi AVVOCATO

Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.

Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.

E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".

La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".

Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.

I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.

Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.

 

 

Alessandro Mariani Avvocato

data di nascita: 08/04/1972

 

Principali mansioni e responsabilità: 
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.

 

 

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