Le autorizzazioni di polizia possono essere negate quando è provata la mancanza della buona condotta dell’interessato, ma non quando è carente la buona condotta di terzi soggetti, per esempio familiari conviventi.
Occhio perché quello che ti riporto oggi è un’importante principio da tenere sempre presente in materia di armi.
Da anni lo segnalo non solo nei post ma, soprattutto, nei ricorsi.
Andiamo allora al sodo e vediamo di che si tratta.
Intanto ti dico subito che il criterio è stato anche ribadito dalla Prima Sezione del Tar Palermo, con la snella sentenza n. 3389/21 pubblicata in data 06.12.2021.
Dunque il principio è il seguente: le autorizzazioni di polizia possono essere negate quando è provata la mancanza della buona condotta dell’interessato, ma non quando è carente la buona condotta di terzi soggetti, per esempio di familiari conviventi con lui.
A prima vista sembra ovvio sostenerlo; tuttavia ne parlo io e ne parlano spesso i giudici, ma spesso il Ministero dell’Interno, Prefetture e Questure sembrano dimenticarlo.
Eppure è così.
Vediamo nel dettaglio.
L’apprezzamento dei requisiti soggettivi deve riguardare solo il soggetto richiedente, in quanto non è consentita l’adozione di un provvedimento sfavorevole basato esclusivamente sull’esistenza di legami parentali o di affinità con soggetti controindicati, non suscettibili, secondo una valutazione ragionevole, di rivelare un’effettiva mancanza di requisiti o di qualità richieste per la detenzione, concretizzandosi così in una sorta di indebita sanzione extralegale.
Tutto chiaro, quindi?
Non regge il divieto di detenzione di armi e munizioni emesso dalla Prefettura ed esclusivamente motivato sulla proposta della Questura in relazione al contesto familiare nel quale la persona in questione è inserita, magari perché figlio di Tizio e nipote di Caio, destinatari entrambi di divieto di detenzione armi e munizioni per i loro motivi.
Insomma, le cose da sapere sono queste.
Non sono rilevanti i rapporti di parentela e affinità, in assenza di frequentazioni e di altri specifici, concreti e attuali elementi da cui desumere il pericolo di abuso del titolo di polizia, poiché la valutazione dei requisiti soggettivi, sebbene si muova sulla discrezionalità, deve riguardare esclusivamente il destinatario dell’autorizzazione.
Quindi il provvedimento del Ministero non può essere motivato con riferimento ai rapporti di parentela e/o affinità senza che sia dimostrato il pericolo di abuso nell’esercizio del titolo da parte del richiedente.
A questo punto qualche norma va richiamata, per completezza del discorso.
Ricordiamo che, secondo l’art. 10, del r. d. n. 773 del 1931 (TULPS) le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata.
Il successivo art. 39 prevede che il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne.
L’art. 43, ultimo comma, del TULPS dispone che la licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi.
Bene: nelle norme ora richiamate non è richiesta la prova storica di un abuso delle armi, essendo sufficiente l'esistenza di elementi che fondino la ragionevole previsione di un uso inappropriato ma con preciso riferimento alla persona autorizzata.
In conclusione: qualsiasi provvedimento della Questura e/o della Prefettura che sia da loro motivato nel senso detto merita senza dubbio il ricorso per la richiesta di annullamento dell’atto, stando anche alle chiare indicazioni della sentenza segnalata.
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