E’ notorio il fatto che l’Italia sia uno dei principali paesi impegnati, con le proprie FF.AA., nelle missioni di pace in territori di guerra.
Il lato meno conosciuto, però, è rappresentato da tutte le attività amministrative, burocratiche, precedenti e/o conseguenti l’impiego operativo del personale militare.
Il caso
Un militare, pur essendo stato inserito un piano di approntamento (liste di impiego redatte in un certo periodo temporale, in anticipo alla data di presunto dispiegamento sul territorio estero), ad un certo punto viene estromesso dal bacino del personale operativo, ciò a seguito di una decisione unilaterale del suo comandante.
Una situazione questa che genera nel militare un disagio professionale, oltre che un danno economico, atteso il mancato guadagno dell’indennità di missione (un periodo di sei mesi equivale mediamente a 15 mila euro circa) che egli avrebbe ottenuto nel caso di effettivo impiego.
Forse questo può apparire un caso limite, ma per gli addetti ai lavori è una realtà con cui confrontarsi ed, anzi, talvolta può richiedere l’adozione di opportune iniziative o contromisure laddove possibile.
La norma
Dal punto di vista giuridico-militare, in prima battuta bisogna fare riferimento al pacchetto normativo che individua, per i militari, il concetto di “ordine di impiego”.
La nozione è chiarita dal combinato disposto degli artt. 725 co. 1 e 726 co.2 DPR n. 90 15.03.2010 (testo unico regolamentare dell’ordinamento militare).
Dalla lettura degli articoli si evince che ogni comandante di corpo, oltre ai doveri generali comuni a tutti i superiori ha doveri particolari; egli, nell'ambito del corpo e' direttamente responsabile dell'impiego e per questo gode di autonomia decisionale (autorita' che gli è conferita per esercitarla unicamente al servizio e a vantaggio delle Forze armate).
Cosa fare
il mancato impiego di un militare in missione all’estero, pur essendo egli precedentemente inserito in una lista di approntamento, nella generalità dei casi non costituisce il presupposto giuridico per poter vantare un danno economico nei confronti dell’amministrazione militare la quale, per motivi non precisati, revochi e/o non impieghi più il militare secondo il piano di studio iniziale.
A questo punto è bene intendersi sulla natura dell’ordine di impiego.
L'ordine di impiego all'estero, oltre ad essere un argomento "classificato" e per tale ragione non sindacabile sotto il profilo amministrativo, rientra nella sfera discrezionale degli “ordini di impiego” del comandante.
Con la precisazione che, specie in tali casi, il comandante del reparto effettua le proprie valutazioni tenendo presente anche le qualità professionali e di condotta di ciascun militare (principio meritocratico).
Per esempio, se un militare ha in corso un procedimento penale pendente per qualsivoglia ragione e/o un procedimento disciplinare in atto, questo di sicuro non lo aiuterà a mettere in positivo risalto la sua personalità.
SOLUZIONE 1 (CONSIGLIATA)
In ogni caso, il personale che ritenga ingiusta l’estromissione dall’impiego operativo all’estero, potrà utilizzare a proprio favore gli strumenti normativi inerenti lo status di militare.
In altri termini: potrà chiedere audizione alla scala gerarchica per motivi di carattere privato connessi al servizio ex art.725 co. 2 lett g) DPR n. 90 15.03.2010 (obbligo del superiore di accordare i colloqui richiesti, anche a carattere privato o familiare) intraprendendo, quindi, un percorso volto a rappresentare le proprie ambizioni/ argomentazioni quali per esempio:
- a) disagio professionale in relazione alla percepita disparità di trattamento con altri commilitoni,
- b) disagio economico consequenziale al mancato impiego all’estero.
SOLUZIONE 2 (NON CONSIGLIATA ALL’INIZIO)
Un’alternativa alla soluzione proposta, che però ci sentiamo di sconsigliare come prima istanza, è quella indicata dall’art. 735 DPR n. 90 15.03.2010.
Si tratta di una norma che prevede la possibilità per il militare di chiedere per “motivi di servizio” di conferire per via gerarchica con il Ministro della difesa o con un superiore, precisando in tal caso il motivo della richiesta per le questioni di servizio, oppure dichiarandone il carattere privato nel caso di questioni non riguardanti il servizio e la disciplina.
Scegliendo questa strada, il richiedente sarà tenuto ad esplicitare già nell’istanza le motivazioni a sostegno della stessa, sapendo a monte che il superiore adito potrà anche non accogliere la richiesta (la disposizione di cui sopra non impone un obbligo giuridico al superiore).
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Contatta l’avv. Francesco Pandolfi
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