Vuoi scoprire insieme a me un’altra interessante ed utile novità in tema di licenza del porto di fucile ad uso caccia, di istanza per il rinnovo seguita da diniego, concussione, sentenza penale di condanna e motivazione insufficiente per il predetto diniego?
Bene, vista l’importanza e la delicatezza della questione, è il caso di mettersi un attimo tranquilli per assorbire totalmente il ragionamento del Tar Genova Sez. 1 e, perché no, per sfruttare di conseguenza le “dritte” che ci fornisce con la recente sentenza n. 19 del 15.01.2018.
La prima Sezione del Tribunale si è distinta per chiarezza.
Anche in questo caso possiamo senz’altro utilizzare, come abbiamo fatto molte altre volte, i principi di diritto nascenti dalla pronuncia.
E’ evidente infatti che, se il lettore si dovesse trovare in un caso simile, potrebbe approfittare ed utilizzare i criteri qui ricordati per fronteggiare il divieto ed aumentare, quindi, di molto le probabilità di accoglimento della sua domanda in giudizio.
Passiamo dunque al cuore della questione, premettendo subito il principio di base di tutta questa complessa materia:
le valutazioni dell’amministrazione non hanno il fine di reprimere comportamenti del passato, ma di prevenire situazioni di pericolo nel futuro.
Il ricorso
Viene impugnato il provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile uso caccia intestata al ricorrente.
La domanda di annullamento riguarda provvedimento di divieto di detenzione armi e munizioni successivamente emesso nei confronti dello stesso ricorrente.
Si tratta di due ricorsi che vengono riuniti.
La questione
In sostanza:
- l’interessato ha subito una sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.per vecchi reati di peculato d’uso e di concussione;
- visto l’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali, il Tribunale di Sorveglianza ha dichiarato l’estinzione della pena detentiva con ordinanza del 2014;
- la parte negativa delle difese in giudizio dice che il giudizio di non affidabilità all’uso delle armi non presuppone necessariamente l’esistenza di sentenze di condanna o l’applicazione di misure di sicurezza, ma si giustifica anche in relazione a situazioni prive di rilevanza penale;
- quindi le circostanze emerse a carico dell’interessato sono ostative alla detenzione di armi perché sintomatiche di non completa affidabilità.
Cosa dice il Tar
Ora,
ragiona il Tar, la licenza di portare armi può essere negata in base ad una valutazione ampiamente discrezionale dell’Autorità di pubblica sicurezza, anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o a misure di pubblica sicurezza, ma che siano genericamente non ascrivibili a buona condotta o, comunque, che appaiano tali da legittimare, secondo un prudenziale giudizio prognostico, anche un semplice sospetto di abuso delle armi.
Il nostro ordinamento, del resto, è ispirato a regole limitative della diffusione dei mezzi di offesa.
Tanto precisato, bisogna rilevare che, laddove non ci siano le circostanze ostative configurate al primo comma dell’art. 43 t.u.l.p.s., il provvedimento di diniego deve passare per forza sotto l’obbligo motivazionale che impone di specificare le ragioni per le quali, sulla base di un giudizio ispirato a finalità preventive e cautelari, si ritiene che il soggetto non offra piena e sicura garanzia di un corretto uso delle armi.
Non è possibile riconoscere, quindi, effetti di per sé ostativi alle sentenze di condanna che non configurino alcuna delle ipotesi previste dal citato primo comma: permane, in tali casi, la necessità di procedere ad un’accurata attività istruttoria (che tenga conto di circostanze quali, ad esempio, l’epoca cui risalgono i fatti contestati o la condotta tenuta successivamente dall’interessato) e di far constare le ragioni dell’eventuale diniego con adeguata motivazioe.
Caso vuole che nel caso trattato questo onere non è stato assolto dall’Amministrazione procedente.
Infatti nella motivazione del provvedimento impugnato si è limitata a fare menzione della condanna “patteggiata” da cui ha meccanicamente fatto discendere la valutazione di inaffidabilità del soggetto.
E’ vero che tale condanna riguarda gravi reati contro la pubblica amministrazione (peculato d’uso e concussione), il secondo dei quali, caratterizzandosi per un abuso costrittivo attuato con violenza o minaccia, è particolarmente odioso e potenzialmente idoneo, di per sé, a giustificare l’adozione del provvedimento negativo.
Tuttavia, non ricorrendo un’ipotesi di condanna ostativa ex art. 43, primo comma, t.u.l.p.s., tale circostanza rappresenta soltanto la base del giudizio di affidabilità devoluto all’autorità di pubblica sicurezza, da completare con le dovute valutazioni in funzione di una statuizione che non ha il fine di reprimere comportamenti rilevanti per il passato, ma è volta a prevenire situazioni di pericolo nel futuro.
La latitudine di apprezzamento rimessa all’amministrazione non può cancellare l’esigenza di considerare il valore significativo dei fatti sopravvenuti favorevoli all’interessato (esito positivo dell’affidamento in prova; comportamento successivo esente da mende) né l’assenza di addebiti riguardo alla correttezza ed avvedutezza nell’utilizzo delle armi durante il lungo periodo di titolarità della licenza.
Cosa fare in casi simili?
Non sempre è facile fronteggiare la presa di posizione dell’amministrazione: ecco perché è preferibile rivolgersi ad un legale specializzato in materia.
Sarà infatti compito del difensore spiegare il “come fare per” e, se richiesto, progettare una strategia difensiva idonea a contrastare con più probabilità di successo un’eventuale azione giudiziale.
In generale, la cosa da sapere è questa e va ripetuta vista la sua importanza: le valutazioni dell’amministrazione non hanno il fine di reprimere comportamenti del passato, ma di prevenire situazioni di pericolo nel futuro.
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