I titoli di polizia già rilasciati sono sempre suscettibili, nel tempo, di verifiche, e quindi di rivalutazioni da parte dell’Autorità di Pubblica Sicurezza.
Questa è la regola generale che il Ministero dell’Interno ha, sino a questo momento, puntualmente richiamato quando ha deciso di negare il rinnovo della licenza, ad esempio perché l’interessato è stato segnalato all’Autorità Giudiziaria per certi reati (poi magari definiti e risolti), reati che a dire dell’amministrazione hanno denotato una condotta controindicata, non in linea con i detentori di titoli di polizia.
Volutamente ho detto che questa è una regola generale richiamata dal Ministero dell’Interno perché il Ministero la vorrebbe applicare sempre e comunque, ma non ho detto che è una regola generale valida sempre e in tutti i casi, in quanto è ormai assodato che l’amministrazione non può valorizzare al negativo elementi di fatto che già conosceva e che, quindi, erano già esistenti all’atto dei precedenti rinnovi e del rilascio del porto d’armi, per altro senza spiegare le ragioni del mutamento di valutazione dei medesimi elementi.
In pratica e più semplicemente: in presenza degli stessi elementi e degli stessi fatti il cambio di rotta valutativo va motivato per bene, altrimenti il diniego potrà essere criticato e molto probabilmente disarticolato con un ricorso.
Bisogna sempre ricordare che è vero che non esiste un’aspettativa qualificata al rinnovo del porto d’armi per il solo fatto del precedente rilascio, ma allo stesso tempo è ugualmente vero che un’eventuale diversa valutazione determina il sorgere un onere motivazionale specifico, visto che l’amministrazione deve dar conto delle ragioni per cui un medesimo fatto, prima ritenuto non ostativo, dopo improvvisamente lo diventa.
Altrimenti la decisione sarebbe irragionevole e, come tale, inammissibile.
Gli esempi che si potrebbero fare, a proposito di questa rigida metodologia valutativa dell’Autorità di P.S. e dei limiti che per forza incontra se non vuole andare incontro ad abuso di discrezionalità, sono veramente tanti.
Prendiamo allora spunto da uno tra questi numerosi casi, quello relativo alla sentenza del Tar Palermo n. 1137 del 24.04.2019.
Qui abbiamo un decreto del Prefetto che respinge il ricorso avverso il provvedimento del Commissario di P.S. di diniego del rinnovo della licenza del porto fucile per uso caccia.
In corso di causa, inizialmente la domanda cautelare (cosiddetta sospensiva) viene respinta, mentre nel merito i Magistrati rivedono accuratamente tutta la questione e concludono accogliendo il ricorso della persona interessata.
Vediamo allora perché la causa si chiude con l’annullamento del provvedimento del Prefetto.
La vicenda parte dalla comunicazione al ricorrente di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, a fronte di alcune segnalazioni all’A.G., definite per prescrizione ed amnistia, (caccia abusiva e furto di selvaggina, lesioni, minacce, ingiurie e danneggiamento) risultanti a carico dell’istante e tali da denotare, per l’Autorità, una condotta controindicata che mal si addice ai detentori di titoli di polizia.
Niente da fare, alle prime battute, con le osservazioni controdeduttive e con il ricorso gerarchico: la risposta amministrativa continua ad essere “no”.
Davanti il Tar, come preannunciato, le cose invece cambiano radicalmente.
Dice in sintesi il Collegio: se per il giudizio di pericolosità ostativo al rilascio del titolo di polizia non si richiede la commissione di reati, ben potendo essere sufficiente una valutazione di eventi privi di rilevanza penale, non si vede per quale ragione la riabilitazione successiva alla affermazione di penale responsabilità debba costituire elemento rigidamente ostativo al diniego del titolo di polizia.
Per giungere ad un genuino giudizio valutativo, l’amministrazione deve infatti osservare ad ampio spettro l’indole e la vita dell’interessato, non la condotta di altri (concorrenti nel reato).
In conclusione, per il Tar da una parte l’amministrazione ha sbagliato in quanto ha dato valore negativo a fatti già sussistenti all’atto dei precedenti rinnovi del porto d’armi, senza una motivazione reale sulle ragioni del mutamento di valutazione dei medesimi fatti; dall’altra ha sbagliato in quanto ha dato peso e valore ad un elemento negativo di giudizio prognostico sull’uso delle armi, riferito alla circostanza che il concorrente (e non il diretto interessato) nel reato dichiarato estinto per prescrizione ha minacciato la persona offesa dal reato.
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