Divieto detenzione armi: un precedente penale molto lontano nel tempo non esprime l’attuale inaffidabilità della persona.
Quando la condotta, seppure antigiuridica, della persona interessata è stata determinata da violente reazioni altrui ad un tentativo di pacificazione avviato dalla prima, magari in un luogo particolare ed in una circostanza particolare di tanto tempo fa che vede la presenza di facinorosi, ebbene tale condotta oggi non dice nulla sull’eventuale affidabilità o inaffidabilità del soggetto circa l’uso delle armi.
Quello qui sopra rappresentato come ipotesi astratta è stato il reale sfondo analizzato dalla Sezione Quarta del Tar Catania in occasione della sentenza n. 1223 del 09.05.2019 e pubblicata il 23.05.2019, un ricorso vincente avverso il provvedimento del Prefetto di mancato accoglimento della istanza di revoca del divieto di detenzione di armi e munizioni precedentemente adottato nei confronti dell’interessato.
Quel provvedimento prefettizio era stato adottato sul presupposto di una vecchissima sentenza penale del 2002, di condanna del ricorrente per reati di detenzione e porto abusivo di arma il luogo pubblico e di lesioni personali, inoltre per la circostanza che “l’amministrazione mantiene il potere di valutare i fatti-reati nella loro obiettiva dimensione storica, espressiva della personalità e della non affidabilità del richiedente al corretto uso delle armi, indipendentemente dalla formale estinzione del reato”.
Ora, spiega il Tar di Catania, per quanto la sentenza penale abbia disposto all’epoca la condanna dell’attuale ricorrente escludendo la scriminante della legittima difesa in quanto egli, con l’aver posto in essere il proprio infruttuoso tentativo di pacificazione avrebbe determinato volontariamente la situazione di pericolo per la sua incolumità, rimane in ogni caso una forte incidenza del contesto in cui si svolsero i fatti e ciò in ordine al valore prognostico, fortemente ridotto, che dai quei fatti può essere tratto in tema di affidabilità dell’interessato circa il possesso e l’uso di armi da sparo.
Inoltre, sottolinea il Collegio catanese di Magistrati, la richiesta di revoca è stata formulata nel 2015, cioè dopo più di 12 anni dai fatti del 2002, in relazione ai quali era stata resa la sentenza penale del sempre del 2002 e dopo la dichiarazione di sopravvenuta estinzione dei reati.
In sostanza: a fronte della indubbia rilevanza del contesto che ha determinato i comportamenti del ricorrente nel lontano 2002 e della assenza di successive mende allo stesso imputabili, il Collegio ritiene che il generico riferimento ad una “ulteriore istruttoria” all’interno della motivazione del provvedimento impugnato non lo affranchi dal vizio di difetto di istruttoria.
Infatti, è possibile desumere solo che l’Amministrazione si è limitata alla utilizzazione di un precedente penale, ma talmente lontano nel tempo da non essere espressivo di un'attuale inaffidabilità del soggetto.
Tradotto in due parole: motivazione insufficiente.
In conclusione, il Ministero dell’Interno perde la causa e viene condannato alle spese di lite.
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