Il nostro Ordinamento non prevede che, senza valide ragioni, alla guardia giurata possa essere impedito l’utilizzo di uno strumento connesso alle proprie funzioni di custodia e vigilanza, strumento avente scopi convergenti con le finalità della funzione di polizia espletate, già da vecchia data, dall’interessato.
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In sostanza: negare senza valide ragioni il rinnovo del porto d’armi a tariffa ridotta (magari a seguito di un procedimento penale), in determinate circostanze può frustrare irrimediabilmente le aspirazioni dell’interessato al libero e pieno svolgimento della propria attività lavorativa di guardia giurata, nei modi in concreto richiesti (cioè con la detenzione di una pistola), ledendo così il diritto al lavoro sancito all’art. 4 della Costituzione e all’art. 15 della Carta di Nizza.
Oggi il commento si sofferma sull’interessante, importante ed utile sentenza del Tar Lombardia Sez. prima, la n. 454/2020 pubblicata il 06.03.2020.
Tutto nasce con un decreto di non accoglimento dell'istanza di rinnovo del porto d'arma emanato dalla Prefettura, preceduto dal provvedimento di avvio del procedimento finalizzato al non accoglimento della richiesta di rinnovo del decreto di guardia giurata e del porto d'armi per difesa personale.
Vediamo solo i passaggi salienti della complessa vicenda.
La persona interessata riceve la nomina prefettizia a guardia particolare giurata nel 2003, esercitando la propria attività con il possesso di armi in forza della licenza per il porto di pistola a tariffa ridotta.
L’ attività lavorativa viene esplicata presso una serie di istituti di vigilanza.
Nel 2009 la Prefettura avvia il procedimento finalizzato alla sospensione e alla revoca del decreto di guardia particolare giurata e del porto d’armi, in relazione ad un procedimento penale pendente a carico del ricorrente per i reati di lesione personale, ingiuria e minaccia.
Il procedimento veniva sospeso dalla medesima Prefettura, e “sino alla definizione della vicenda penale”, consentendo al ricorrente la prosecuzione della propria attività lavorativa di guardia giurata con il porto d’armi.
Nel 2018 il ricorrente domanda il rinnovo dei titoli di polizia di cui era in possesso.
L’Autorità emana il “preavviso di rigetto” - sostanzialmente “riaprendo” il procedimento posto in stato di quiescenza nel 2009 - stante la intervenuta definizione, con sentenza di condanna, del procedimento penale in allora pendente.
Infine nega al ricorrente il rinnovo del porto d’armi a tariffa ridotta, in ragione della conclusione del procedimento penale a suo carico, con una sentenza di condanna.
Contro questo provvedimento di diniego, presenta il suo ricorso al Tar.
Qui il ragionamento dei magistrati.
Il diniego, in modo ingiustificato fa riferimento unicamente all’automatismo contemplato all’art. 43 TULPS: si è negato il rilascio del porto di pistola ad un soggetto che la medesima Autorità prefettizia ha reputato ancora (e prima) in possesso dei più rigorosi requisiti di onorabilità contemplati per la nomina a guardia giurata.
In verità il reato ascritto al ricorrente è stato commesso nel 2009, allorquando sussisteva una situazione di tensione tra il ricorrente e la sua ex compagna (e il di lei nucleo familiare) in relazione alle modalità di affidamento della piccola nata dalla loro relazione; situazione ormai del tutto dissipata, con il temporaneo collocamento della figlia – consensualmente determinato tra i genitori- presso l’abitazione del ricorrente; ha determinato una pronunzia di condanna a mesi 5 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione.
Ora, ai sensi dell’art. 166 c.p. “La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”.
In pratica, alla luce di tutto quanto sopra esposto circa la effettiva natura dell’attività di guardia giurata, conformata da varie prescrizioni normative in funzione di tutela della sicurezza e della tranquillità pubblica nonché di garanzia della pacifica convivenza civile, vale a dire interessi collimanti con quelli presidiati dalle funzioni di polizia, è innegabile che l’immotivato provvedimento di diniego di porto di pistola, adottato senza spiegazioni chiare delle ragioni di “inaffidabilità” del ricorrente (peraltro titolare della qualitas di guardia giurata fin dal lontano 2003):
- preclude alla guardia giurata l’utilizzo di uno strumento necessariamente connesso alle proprie funzioni di custodia e vigilanza, avente “scopi convergenti con le finalità della funzione di polizia siccome in concreto espletate a far data dal 2003;
- frustra irrimediabilmente le aspirazioni del ricorrente al libero e pieno svolgimento della propria attività lavorativa di guardia giurata, nei modi in concreto richiesti (id est, con la detenzione di una pistola), ledendo il diritto al lavoro sancito all’art. 4 della Costituzione e all’art. 15 della Carta di Nizza, in violazione del chiaro disposto di cui all’art. 166 c.p.;
- contrasta con le positive determinazioni assunte dalla medesima Autorità prefettizia –ovvero, con la mancata adozione di provvedimenti negativi- in relazione al titolo di guardia giurata ex art. 138 TULPS.
Conclusione: provvedimento annullato, ricorso accolto.
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