Non c’è più il carattere automaticamente ostativo, al rilascio della licenza di porto d’armi, delle condanne per i reati indicati dall’art. 43 comma 1 T.U.L.P.S, laddove sia intervenuta la riabilitazione.
- Pubblicazioni sul tema
- La sentenza 2243 del Consiglio di Stato
- La posizione del Tar
- La posizione del Ministero
- Il Consiglio di Stato segnala due orientamenti
- La nuova norma si può applicare anche per il passato
- Conclusioni del Consiglio di Stato
- In pratica
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Qui approfitto per dirti che la Terza Sezione del Consiglio di Stato si è espressa ancora una volta a favore della parte privata, pronunciandosi sull’esistenza o meno del carattere automaticamente ostativo, al rilascio della licenza di porto d’armi, delle condanne per i reati indicati dall’art. 43 comma 1 T.U.L.P.S, quando sia intervenuta la riabilitazione.
La sentenza 2243 del Consiglio di Stato
Lo ha fatto con una sentenza semplice e, allo stesso tempo, curata nei suoi passaggi argomentativi: la sentenza n. 2243/20 pubblicata in data 02.04.2020.
Parliamo del gruppo di reati ostativi previsti dalla norma: dunque si tratta di furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, violenza o resistenza all’autorità eccetera.
In sostanza, il Ministero dell’Interno appella la sentenza del Tar che ha accolto il ricorso dell’interessato avverso la revoca del proprio porto d’armi per uso caccia, disposta in relazione alla sussistenza di tre remote sentenze penali.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso considerando che le fattispecie per le quali erano intervenute due delle condanne (in materia di assegni a vuoto e di stupefacenti) erano state nel tempo derubricate ad illeciti amministrativi, mentre per la terza condanna (tentata estorsione) era ormai intervenuta la riabilitazione e la sopravvenuta modifica dell’art. 43, comma 3, TULPS aveva reso per casi del genere la revoca facoltativa, determinando la necessità di una puntuale motivazione, che nel caso in esame era mancata.
Il Ministero appellante, viceversa, non ci sta e deduce che, anche se è era intervenuta la riabilitazione, il precedente penale per tentata estorsione manteneva il suo carattere automaticamente interdittivo, in quanto la novella normativa richiamata dal Tar non era retroattiva e, dunque, non si applicava alla fattispecie in esame.
Ai fini della decisione di merito, considera il Collegio che il Tar ha accolto il ricorso sulla scorta di una interpretazione dell'art. 43 comma 3 T.U.L.P.S. conforme alla riformulazione operata dal D. Lgs. 104/2018, che ha prescritto la necessità di una valutazione discrezionale in ordine all'affidabilità ed alla buona condotta del titolare del porto d'armi in caso di intervenuta riabilitazione e di reati diversi da quelli espressamente indicati.
Neanche a dirlo, il Ministero non condivide, richiamando un orientamento giurisprudenziale secondo il quale, premesso che il nostro ordinamento non prevede un diritto del singolo all’utilizzo delle armi, che può essere consentito solo ove ne sia accertata la conformità alla preminente esigenza costituzionale di tutela e garanzia dei diritti inviolabili della persona da parte della Repubblica, l’intervenuta condanna penale per reati valutati dal legislatore come ostativi, in quanto riferiti a comportamenti suscettibili di far venire meno il ragionevole affidamento circa il corretto uso delle armi senza rischi per la pubblica incolumità (così come nella fattispecie, concernente una tentata estorsione), mantiene il suo carattere preclusivo indipendentemente dalla successive vicende penali, fatta salva la diversa previsione normativa di cui alla novella dell'art. 43, comma 3, T.U.L.P.S. operata dal D. Lgs. n. 104/2018 che, per i precedenti penali per i quali sia sopravvenuta la riabilitazione, ha introdotto una diversa disciplina implicante la necessità di una rinnovata valutazione circa la permanenza dell’effetto interdittivo.
Trattandosi peraltro di una nuova disciplina, priva di particolari previsioni di diritto transitorio e per la quale non è possibile ravvisare alcun oggettivo riferimento ad un contenuto o ad una volontà interpretativa di preesistenti disposizioni, secondo il Ministero appellante la stessa dovrebbe peraltro trovare applicazione, secondo il generale criterio tempus regit actum, alle fattispecie successive alla sua entrata in vigore, e non a quella in esame.
Il Consiglio di Stato segnala due orientamenti
Sul punto controverso esistono due diversi orientamenti giurisprudenziali: il primo, più rigoroso e aderente al dato letterale della norma, ritiene che le condanne alla reclusione riportate per i delitti di cui all’articolo 43, comma 1, del T.U.L.P.S. costituiscano causa automaticamente ostativa al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi, anche in caso di estinzione del reato e di riabilitazione (cfr., in ultimo, Cons. St., III, n. 3435/2018);
l’altro mette in luce le criticità di un’applicazione rigorosa dell’automatismo preclusivo di cui al primo comma dell’art. 43 del T.U.L.P.S., e sostiene che il principio di ragionevolezza comporti che debba essere privilegiata un’interpretazione teleologica della norma conforme ai principi costituzionali e che, quindi, l’Amministrazione, nel compiere la propria complessiva valutazione in ordine alla affidabilità nel possesso di armi, non possa non tener conto anche della sussistenza degli altri elementi concernenti la personalità dell’interessato con carattere di attualità.
Pertanto, una condanna risalente nel tempo come nella fattispecie, su cui è intervenuto un provvedimento del Giudice penale che ha concesso al ricorrente il beneficio della riabilitazione a seguito della mancata commissione di reati negli anni successivi, avrebbe dovuto essere valutata unitamente agli altri elementi che nella attualità connotano la personalità del richiedente.
Questo orientamento ora esposto è stato recentemente condiviso dalla Sezione del Consiglio, in particolare con la sentenza n. 6995 del 5 ottobre 2019, che richiama Cons. St., sez. III, n. 5313/2017, e da ultimo con le sentenze n. 1307 del 13 febbraio 2020 e n. 1816 del 27 febbraio 2020, afferenti ad analoghe fattispecie, che hanno anche considerato come il suddetto indirizzo interpretativo abbia trovato recente conferma dal legislatore mediante l’eliminazione dell’originario carattere automaticamente ostativo, al rilascio della licenza di porto d’armi, delle condanne per i reati indicati dall’art. 43, comma 1, TULPS, laddove sia intervenuta la riabilitazione (cfr. art. 43, comma 2, TULPS, come modificato dall’art. 3, comma 1, lett. e), d. lvo n. 104 del 10 agosto 2018, nel senso che “la licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione….”).
La nuova norma si può applicare anche per il passato
La nuova norma, sebbene trovi applicazione a decorrere dal 14 settembre 2018, rileva anche ai fini della interpretazione della disposizione previgente, avendo il legislatore attribuito all’Amministrazione, laddove la condanna sia bilanciata da una condotta successiva espressiva di un atteggiamento di ravvedimento che abbia messo capo al provvedimento di riabilitazione ex art. 178 c.p., il potere di valutare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di diniego alla luce di un giudizio di affidabilità attuale dell’interessato in relazione all’uso delle armi, alla stregua di un principio di ragionevolezza che trova diretto fondamento nell’art. 97 della Costituzione.
Conclusioni del Consiglio di Stato
Conclusivamente, il Collegio ritiene che il primo giudice abbia correttamente ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato, in quanto motivato da un automatismo preclusivo che nella fattispecie non sussisteva.
L’appello del Ministero dell’Interno è pertanto respinto, ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di adottare eventuali ulteriori atti fondati su indici concreti ed attuali di non affidabilità dell’interessato circa il corretto uso delle armi.
Ciò significa che, la condanna sopra indicata, essendo stata seguita dalla riabilitazione, potrebbe ancora essere motivatamente valorizzata solo e soltanto tenendo conto di ulteriori elementi, anche privi di rilevanza penale, che denotino una reale inaffidabilità del soggetto all’uso lecito delle armi.
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