Il divieto di detenzione delle armi si può disporre solo in presenza di determinati comportamenti o fatti di reato, posti in essere direttamente dal titolare, che rivelino un rischio di abuso o una sua non sufficiente affidabilità. Non si può, invece, disporre, in tutti gli altri casi.
I limiti alla discrezionalità del Prefetto
Quando non può essere disposto il divieto
Quando parliamo di divieto detenzione armi pensiamo immediatamente alla discrezionalità dell’amministrazione e, per conseguenza, al vasto potere rimesso dalla Legge nelle sue mani per arrivare a stabilire se una persona non è più affidabile.
I limiti alla discrezionalità del Prefetto
Eppure, questo vasto potere discrezionale non è indefinito, ma incontra dei limiti.
Sappiamo che alcune sentenze ci ripetono che il divieto, tipico provvedimento di pubblica sicurezza, può essere adottato anche quando il pericolo di abuso delle armi non sia determinato personalmente dal loro proprietario, ma per esempio da una persona convivente.
Tuttavia, affinché tali criteri si possano applicare, è necessario che il titolare dell’autorizzazione di polizia non sia effettivamente in grado di offrire garanzie in ordine alla corretta custodia dell’arma, o in ordine al rischio di utilizzo della stessa da parte dei familiari o delle persone con lui conviventi.
Sono le stesse norme del T.U.L.P.S. a svelarci queste considerazioni.
Vediamo di quali regole parliamo.
L’articolo 11 T.U.P.S. prevede che le autorizzazioni di polizia devono essere revocate nell’ipotesi in cui il titolare abbia commesso una serie di reati, sia stato sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale ovvero sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Tale norma precisa altresì che le “autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”.
L’articolo 43 T.U.L.P.S. inoltre sancisce che “oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione, ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.
L’articolo 39 T.U.L.P.S., infine, prevede che il prefetto possa vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, alle persone ritenute capaci di abusarne.
Quando non può essere disposto il divieto
Da questo quadro normativo risulta che il divieto di detenzione delle armi può essere disposto solo in presenza di determinati comportamenti o fatti di reato, posti in essere direttamente dal titolare, che rivelino un rischio di abuso o una sua non sufficiente affidabilità.
Non può essere, invece, disposto, quando la vicenda sottostante riguarda fatti riferiti a un soggetto diverso rispetto alla persona interessata.
Se questo accade, la Prefettura avrà violato il quadro normativo sopra ricostruito e il divieto potrà essere annullato dal Tar.
Come abbiamo detto in precedenza, alcune sentenze ci ripetono che il divieto, tipico provvedimento di pubblica sicurezza, può essere adottato anche quando il pericolo di abuso delle armi non sia determinato personalmente dal loro proprietario, ma per esempio da una persona convivente: ma rimane pur sempre necessario che il titolare dell’autorizzazione di polizia non sia effettivamente in grado di offrire garanzie in ordine alla corretta custodia dell’arma, o in ordine al rischio di utilizzo della stessa da parte dei familiari o delle persone con lui conviventi.
Si tratta di criteri normativi lineari; stupisce che in molte occasioni l’Amministrazione, invece, li trascuri.
Ad esempio, in un caso trattato di recente dal Tar Campobasso con la sentenza n. 251/2020, pubblicata in data 01.10.2020, è stato proprio ribadito questo concetto: il Collegio ha accolto la domanda di annullamento del divieto, in quanto la Prefettura aveva fatto derivare, non dimostrando niente, il divieto detenzione armi da fatti attribuibili o comunque riferibili al convivente dell’interessato.
In definitiva: l’Autorità non è mai esonerata dall’onere di spiegare con cura i motivi per i quali ritiene che la persona in questione sia divenuta inaffidabile sulla custodia delle armi o su altri fatti.
Se trascura tale onere, il suo provvedimento sarà annullato dai giudici, i quali con ogni probabilità la condanneranno anche alle spese.
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