Casi in cui un provvedimento dell’Autorità viene ritenuto errato da parte dei Giudici amministrativi di secondo grado.
Premetto che non sempre è facile, per il Ministero dell'Interno e per le sue articolazioni, poter comprendere subito e in pieno le dinamiche di fatti che vengono sottoposti alla sua valutazione, in materia di diritto amministrativo delle armi.
Fatta questa premessa però, va anche detto che la Questura o la Prefettura, quando si trovano di fronte a segnalazioni, esposti, denunce, querele e qualunque altra fonte di notizie utili da esaminare, hanno sempre l’onere di controllare e verificare la fondatezza e l’attendibilità di tali segnalazioni, prima di emettere provvedimenti urgenti.
Questo perché la persona destinataria di un eventuale provvedimento amministrativo negativo, poniamo ad esempio che riguardi la revoca della licenza di porto di fucile ad uso sportivo e del relativo libretto, non può subire passivamente il diniego autoritativo se questo è privo di solide fondamenta.
Se accadesse, si tratterebbe di un’ingiustizia bella e buona.
Ovviamente: anche di abuso della discrezionalità amministrativa.
Purtroppo devo dire che situazioni come queste si verificano, pure con una certa frequenza.
Neanche a farlo apposta, ultimamente il Consiglio di Stato si è trovato a giudicare proprio una di queste circostanze, dove il Tar era andato parecchio fuori tracciato con le sue valutazioni (C.d.S. sezione terza, sentenza n 6377/2020 pubblicata il 22.10.2020).
In sintesi, la vicenda analizzata dai Giudici, e risolta favorevolmente per la parte privata, è questa.
Dunque, viene presentato l’appello per chiedere la riforma, previa sospensione della sua esecutività, della sentenza con cui il Tar ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto del Questore recante la revoca della licenza di porto di fucile per tiro a volo, del relativo libretto ed il loro ritiro.
La determinazione viene assunta sulla scorta di una segnalazione dei Carabinieri, dalla quale sembra che la persona in questione sia stata denunciata a piede libero perché trovata in possesso, all’interno di una sala giochi, di una pistola, regolarmente denunciata, senza averne titolo per il porto d’armi per difesa personale, essendo in possesso di porto d’armi ad uso tiro a volo.
Per altro, nella ricostruzione posta a base della decisione appellata, l’appellante è deferito all’autorità giudiziaria non solo per omessa custodia, ma anche per porto abusivo delle armi (ex art. 699 c.p.), in quanto il titolo autorizzativo posseduto non ne consentiva la disponibilità nelle condizioni di tempo e luogo ricorrenti al momento del controllo.
In aggiunta, pare che in occasione del controllo questa persona abbia ammesso di aver fatto uso di cocaina.
Ebbene, mentre il giudice di primo grado trascura i motivi di ricorso dell’interessato, il giudice di secondo grado li valorizza ed annulla la prima decisione.
L’interessato spiega alcune incongruenze sulla dinamica dei fatti, rispetto alle circostanze che hanno condotto anche all’archiviazione dei relativi procedimenti penali.
In pratica:
- la presenza della persona all’interno della sala giochi “armato di una pistola” risulta smentita dalle acquisizioni processuali;
- l’asserita ammissione di aver fatto uso di stupefacenti durante la serata è circostanza non richiamata nel decreto di revoca ed impropriamente utilizzata dal giudice di primo grado;
- risulta violato il divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento, sia quanto all’uso di cocaina che alla contestazione dell’omessa custodia, porto d’armi abusivo e detenzione di arma in condizioni spazio-temporali non autorizzate;
- si è data importanza a dichiarazioni spontanee contenute in un’annotazione di servizio e, dunque, non raccolte nelle forme previste dal c.p.p.;
- la licenza di porto d’armi ad uso sportivo posseduta dall’appellante ben gli consente il trasporto di armi, e lo consentiva nelle circostanze di tempo e di luogo in concreto verificatesi.
Insomma: la ricostruzione dei fatti ricalcata dalla Questura è risultata non veritiera e non coerente con l’esito degli accertamenti poi effettivamente svolti.
E’ rimasto, infatti, documentato che l’interessato non avesse portato alcun’arma (tantomeno all’interno di una sala giochi), bensì trasporto una pistola all’interno della sua autovettura, sotto al sedile anteriore destro in una scatola e con caricatore non inserito.
Eppure, il Tar aveva pensato di disattendere le lamentele della parte, in ragione del fatto che “….la più precisa descrizione dei fatti assunta dall’amministrazione, a breve distanza del decreto, abbia integralmente confermato le valutazioni che fondavano l’avversata revoca”.
Ma, in punto di fatto, anche la questione della sostanza stupefacente non è poi risultata pienamente dimostrata.
In definitiva, la Questura ha trascurato di valutare con cura i fatti, accontendandosi di dare per vere talune dichiarazioni e supposizioni e senza svolgere tutti gli opportuni approfondimenti del caso.
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