Caccia. Utilizzo di mezzo vietato all’attività venatoria e uccisione specie protetta. Omessa custodia dell’arma. Porto abusivo d’arma. Porto di armi od oggetti atti ad offendere.
manca comunicazione avvio procedimento
Stando al resoconto della Polizia Provinciale, due persone stanno esercitando la caccia scambiandosi lo stesso fucile semiautomatico, con l’ausilio di un richiamo elettromagnetico ed abbattendo specie particolarmente protette.
In particolare, uno dei due, titolare di licenza di porto d’armi per uso venatorio, viene segnalato per utilizzo di mezzo vietato all’attività venatoria e uccisione di specie protetta, inoltre per il reato di omessa custodia dell’arma; mentre l’altra persona, senza licenza, è denunciata per porto abusivo d’arma e per porto di armi od oggetti atti ad offendere.
Caso specifico a parte, si tratta di un argomento che spesso si ripropone nella pratica quotidiana dell'avvocato che tratta casi di diritto amministrativo delle armi; per altro, ho già avuto modo di scrivere sulla questione questa estate, commentando in particolare la sentenza anche qui segnalata come importante punto di riferimento per avere una guida in occasione di casi analoghi e, in ultima analisi, per impostare la corretta metodologia per risolvere il problema dell'eventuale ingiusto divieto di detenzione armi che dovesse essere notificato.
Comunque, tornando al caso preso come spunto iniziale per il post: vista la segnalazione, le autorità di pubblica sicurezza dispongono nei confronti di entrambi il divieto detenzione armi e, per il primo, la revoca della licenza, oltre al ritiro delle armi detenute.
I due interessati approntano immediatamente i loro ricorsi, prima in via gerarchica e poi davanti il tribunale amministrativo.
In sostanza dicono che i provvedimenti di divieto si basano su una falsa ricostruzione dei fatti e spiegano che, al momento del controllo della polizia municipale, loro si trovavano solo all’interno di un capanno e nessuno stava utilizzando il fucile.
Poi sottolineano che solo uno dei due stesse esercitando la caccia con il proprio fucile, regolarmente detenuto e portato, mentre l’altro, il fratello del primo, privo di porto d’armi, si limitava ad accompagnarlo assistendo alle operazioni.
In pratica nei ricorsi viene fuori l’erronea deduzione della polizia provinciale, secondo cui la presenza di entrambi nel capanno significava che essi utilizzavano congiuntamente il fucile, peraltro unico.
Inoltre, sottolineano che il travisamento dei fatti è reso evidente anche dalla segnalazione della polizia provinciale, che ha qualificato una dei due figlio dell’altro, pur avendo i due una differenza di età di 8 anni, imputando quindi al fratello maggiore il reato di omessa custodia di armi che sanziona chiunque consegna a minori degli anni diciotto, che non siano in possesso della licenza dell'autorità, ovvero a persone anche parzialmente incapaci, a tossicodipendenti o a persone impedite nel maneggio, un'arma, munizioni o esplosivi diversi dai giocattoli pirici.
In sostanza, i divieti vengono criticati in ricorso per difetto di istruttoria, visto che le Autorità di pubblica sicurezza non hanno effettuato alcuna autonoma verifica in concreto in merito ai fatti segnalati o anche solo in merito all’età dei soggetti coinvolti, limitandosi a recepire acriticamente la ricostruzione proposta dal Comando della Polizia Provinciale.
manca comunicazione avvio procedimento
Inoltre, cosa non secondaria, i ricorrenti denunciano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento o di altre forme di coinvolgimento degli interessati, che ha precluso l’accertamento dell’assoluta inconsistenza delle contestazioni formulate.
Ebbene, impostata così la causa, il Tar da ragione ai due ricorrenti, in quanto ritiene giusta l’osservazione che è mancata la comunicazione di avvio del procedimento, dal momento che questo particolare passaggio procedurale avrebbe sicuramente permesso all’amministrazione di vedere bene, o meglio, o rivedere la propria posizione, notando la mancanza della verifica di quanto indicato dalla Polizia Provinciale.
Visto l’esito della causa, il Tar di Brescia con la sentenza n. 609/2020 pubblicata il 04.08.2020 e non appellata, condanna anche il Ministero dell’Interno, Prefettura e Questura a pagare ai ricorrenti le spese di lite.
In conclusione, la sintesi di tutto è la seguente.
La corretta instaurazione del contraddittorio attraverso la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe consentito all’amministrazione di acquisire ulteriori elementi e informazioni per una completa ed attendibile istruttoria, che invece è stata carente nella valutazione dei fatti.
Contatta l’avvocato francesco pandolfi
3286090590
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.