Lunedì, 04 Settembre 2017 08:19

Pubblico impiego / Militari: si possono provare i danni da sanzione disciplinare e trasferimento per incompatibilità ambientale?

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Consiglio di Stato, sez. 4, sentenza n. 3255 del 4 luglio 2017: l’insegnamento che possiamo ricavarne

  

 

Il preambolo

Già il titolo di questo post mostra in se tutta la particolarità e la complessità dell’argomento.

Il Consiglio di Stato ha condensato in qualche pagina della sua articolata sentenza alcuni principi che certamente possiamo sfruttare, nel caso si dovessero presentare casi analoghi, per cercare di abbassare la “percentuale di fallimento” della causa risarcitoria.

Si perché cause di questo tipo, sicuramente fattibili, non sono per niente semplici: l’esito delle stesse è incerto e non è affatto scontato.  

Vanno quindi affrontate con estrema cautela.

ll ricorrente è un maresciallo dell'Arma dei Carabinieri.

Avvia presso il T.a.r. una causa per domandare il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di un provvedimento con cui gli è stata irrogata la sanzione disciplinare del rimprovero, e di un successivo provvedimento con cui è stato trasferito per incompatibilità ambientale.

Il ricorso cumulativo a suo tempo formulato contro questi tali atti, dichiarato inammissibile in primo grado, viene accolto dal Consiglio di Stato.

In particolare, il Consiglio, annulla il trasferimento per difetto di motivazione e l'irrogazione della sanzione per difetto di istruttoria.

Il Consiglio ritiene:

  • da un lato che l'affermata situazione di incompatibilità... per potersi concretamente configurare deve essere rapportata all'esterno della struttura, cosi come rilevabile dagli ambienti locali, costituiti dalle altre istituzioni e dalla stessa popolazione e tale indefettibile condizione non risulta essere stata adeguatamente appurata o comunque sufficientemente esplicitata negli atti di causa,
  • dall'altro che non risultano essere state osservate le formalità procedurali richieste dalla normativa dettata in tema di attivazione e gestione di procedimento disciplinare, dato che non risulta che il ricorrente sia stato destinatario di un apposito atto di contestazione di addebiti

La conseguente richiesta di completa reintegrazione giuridica ed economica formulata dall'interessato è accolta dall'Amministrazione in maniera stimata incompleta dall'odierno ricorrente.

In questa pronuncia il Consiglio, osservato in termini generali che è indubbio che l'Amministrazione soccombente a seguito di sentenza di annullamento passata in giudicato, abbia l'obbligo di ripristinare la situazione controversa, a favore del privato, con effetto retroattivo, ha tuttavia aggiunto che questa retroattività dell'esecuzione del giudicato trova però un limite nella sopravvenienza di mutamenti della realtà tali da non consentire l'integrale ripristino dello status quo ante. 

 

Il caso

Nel caso di specie, l'Arma dei carabinieri ha comunicato di non poter nuovamente assegnare il maresciallo all'originaria stazione come comandante perché ormai privo dei requisiti (qualifica minima di "superiore alla media" e possesso di un armonico complesso di qualità morali, professionali e di carattere), inoltre le indennità che rivendica hanno carattere corrispettivo e presuppongono che si siano concretamente verificate le situazioni per le quali sono riconosciute.

Infine, quanto alla ricostruzione di carriera, risulta che il ricorrente è stato valutato e giudicato idoneo, anche se non promosso luogotenente per mancanza di posti disponibili.

Il militare non prova - come invece sarebbe suo onere - che la stessa valutazione, fatta in epoca antecedente, avrebbe prodotto un risultato diverso.

 

 

Che cosa chiede il Militare nella causa

Il ricorrente quindi imposta la domanda di risarcimento, lamentando in particolare che dall'inesatta ed incompleta esecuzione della sentenza n. 2615 sarebbero derivati danni non patrimoniali a titolo di danno professionale, danno psicologico permanente, danno alla serenità familiare e lavorativa e anche danni patrimoniali, nel caso in cui l'Amministrazione avesse proseguito nel non dare corretta esecuzione al giudicato, nei tempi e con le modalità indicate dal Consiglio di Stato.

 

 

I principi dettati dal C.d.S. in tema di onere della prova

Da premettere che l'Amministrazione contesta la genericità e l'indeterminatezza dei danni psicologici prospettati nonché l'assenza del nesso di causalità fra i fatti di causa e le traversie familiari affrontate dal ricorrente ben tredici anni dopo.

Dal punto di vista sostanziale dice il CdS, al privato non compete il risarcimento dei danni a seguito di annullamento di atti per meri vizi formali "quali il difetto di istruttoria o di motivazione" (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675; successivamente v. anche Sez. IV, 21 marzo 2016, n. 1130 e 19 dicembre 2016, n. 5363), visto che in tali casi non è accertata la spettanza sostanziale del bene della vita.

Ciò che va fatto (e andava fatto nel caso in esame) è perseguire accuratamente l’onere della prova.

In altri termini: curarsi di dimostrare con precisione quanto si assume a livello di danno.

A parte il fatto che la più recente giurisprudenza qualifica il trasferimento d'autorità di personale militare come ordine, quindi non assistito da garanzie procedimentali e non gravato da obbligo di motivazione (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2016, n. 1) il Collegio osserva che, nell'azione di responsabilità verso l'Amministrazione:

 

 

  • occorre sia la prova rigorosa del nesso fra l'illecito provvedimentale ed il danno subito dal pubblico dipendente (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2),
  • sia la puntuale allegazione e dimostrazione del danno.   

 

 

Il principio di fondo è dunque questo

L'interessato è onerato di dare piena prova delle proprie affermazioni, non potendo a ciò supplire con la richiesta di una consulenza tecnica d'ufficio.

Altre informazioni su questo argomento?

Contatta la Redazione, oppure l’avv. Francesco Pandolfi

3286090590

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Letto 10191 volte Ultima modifica il Domenica, 05 Novembre 2017 18:25
Francesco Pandolfi e Alessandro Mariani

Francesco Pandolfi

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Francesco Pandolfi AVVOCATO

Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.

Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.

E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".

La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".

Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.

I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.

Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.

 

 

Alessandro Mariani Avvocato

data di nascita: 08/04/1972

 

Principali mansioni e responsabilità: 
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.

 

 

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