Il divieto di detenzione delle armi si può disporre solo in presenza di determinati comportamenti o fatti di reato, posti in essere direttamente dal titolare, che mostrino un rischio di abuso o una sua non sufficiente affidabilità. Non si può, invece, disporre, in tutti gli altri casi.
In questa delicata materia vige un principio molto chiaro: non compromettono l'affidabilità della persona quelle condotte che, per loro natura, per la loro occasionalità, per la loro distanza nel tempo o per altri giustificati motivi, non sembrano con un po’ di ragionevolezza capaci di incidere oggi sull'affidabilità del soggetto interessato al rilascio del titolo di polizia.
Tradotto: è necessario che l’eventuale provvedimento ostativo all’uso delle armi sia fondato su una valutazione del comportamento complessivo del soggetto interessato, per giungere ad un’eventuale dichiarazione di inaffidabilità.
Volendo fare un esempio, pensiamo al caso di un procedimento penale per minaccia aggravata che riguarda l’interessato alla licenza, concluso con l’infondatezza della notizia di reato.
In una circostanza del genere, non sarebbe sostenibile un provvedimento prefettizio basato sul giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi unicamente riferito alla querela sporta nei confronti della persona interessata, nonostante la stessa sia stata archiviata per infondatezza della notizia di reato.
Nella pratica sono tanti i casi simili a quello qui riportato.
Spesso, per esempio, si verifica che i dinieghi vengono fuori da situazioni di litigiosità interna alle famiglie, magari legate a vicende patrimoniali, ma sono privi di motivazione sulla personalità complessiva dell’interessato.
Inutile dire che questi giudizi amministrativi sono assai delicati. Per questo, in situazioni in cui c’è una querela per minacce o per altri dissapori familiari, essi non possono restare affidati solo a tale situazione di litigiosità, senza alcun approfondimento istruttorio, ad esempio, sulla risoluzione ed eventuale componimento della situazione avvenuto dopo la querela.
La Sezione Quinta del Tar Campania si è proprio occupata della questione sopra illustrata, ossia dell’incidenza di una querela per minaccia aggravata poi archiviata per infondatezza della notizia di reato, querela da cui la Prefettura ne aveva invece fatto discendere come conseguenza un astratto pericolo di abuso delle armi.
La pronuncia in questione è la n. 5185/2020, pubblicata il 12.11.2020.
In estrema sintesi, andando a frugare tra le pieghe del giuridichese scritto dai magistrati, risulta quanto segue.
Ai sensi degli artt. 11, 43 e 39 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, il potere riconosciuto all’Amministrazione in materia di rilascio del porto d'armi ai soggetti ritenuti capaci di abusarne è connotato da elevata discrezionalità, in considerazione della funzione per cui lo stesso è attribuito, consistente nella tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, anche con finalità di prevenzione della commissione di illeciti, e che, pertanto, l'eventuale provvedimento di diniego nel rilascio, di revoca della licenza già rilasciata ed il provvedimento di divieto di cui all’art. 39 non richiedono un oggettivo ed accertato abuso nell'uso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne.
Tuttavia, si è anche precisato in giurisprudenza che il giudizio prognostico deve essere effettuato sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie, al fine di verificare il potenziale pericolo rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute, e deve estrinsecarsi in una congrua motivazione, che consenta in sede giurisdizionale di verificare la sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie.
In conclusione, possiamo tranquillamente affermare che in tutti i casi che presentano le caratteristiche sopra segnalate, il ricorso non solo sarà proponibile ma con ogni probabilità verrà accolto, come del resto ha già fatto il Tar Napoli.
Inoltre è pure altamente probabile che, oltre all’annullamento del provvedimento amministrativo, il Ministero dell’Interno venga anche condannato alle spese.
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