I legami familiari che possono spingere la Questura a rigettare l’istanza per il rilascio della licenza di porto di fucile ad uso tiro a volo. Il ricorso.
Appartieni per passione al mondo armiero ed hai depositato in Questura l’istanza per il rilascio della licenza di porto di fucile per tiro a volo.
Nella domanda hai avuto cura di spiegare di essere incensurato, inoltre che in famiglia ci sono altre persone con licenza: in particolare tuo padre, il quale ha una licenza uso caccia da forse più di quarant’anni e possiede pure armi da fuoco che vorrebbe cedere.
Ad un certo punto, però, il meccanismo amministrativo dell’accertamento si è inghippato.
Il problema è nato in quanto l’amministrazione ti ha rigettato la domanda assumendo, molto vagamente, che saresti inserito in una famiglia poco per bene, per essere pratici con componenti di sodalizi mafiosi; tuttavia non ti ha dato specifiche spiegazioni del perché del rigetto.
A questo punto ti sei chiesto: riguardo alla licenza di porto di fucile per tiro a volo, cosa è meglio fare vista questa indicazione della presenza di parenti mafiosi?
Rigetto della Questura, parenti mafiosi e ricorso
Rigetto della Questura, parenti mafiosi e ricorso
Bene: di fronte a casi come questo certamente devi presentare un ricorso, almeno per il fatto che la Questura è stata molto generica nel respingerti la domanda.
In buona sostanza: se si verifica che il provvedimento di rigetto è superficiale e non motiva, in dettaglio, il collegamento che dovrebbe esserci tra persone in famiglia poco raccomandabili e te stesso, ecco in questi casi il ricorso verrà accolto dal tribunale amministrativo, proprio per il fatto che manca l’essenziale motivazione.
Per fare un esempio: supponiamo che, a parere della Questura, la presenza in famiglia di appartenenti a clan mafiosi sia ritenuta pregiudizievole per il rilascio della tua licenza, questa indicazione non potrà essere espressa dopo nel corso della causa avviata con il tuo ricorso, ma dovrà essere messa in chiaro prima, cioè proprio all’interno del decreto di rigetto che ti ha notificato.
Insomma: per legge è vietata l’integrazione postuma delle motivazioni del provvedimento che si vuole impugnare [1].
Tradotto: la Questura non può spiegare i suoi motivi del no in causa, ma lo deve fare subito al momento del rigetto. Quello che deve fare prima non lo può fare dopo: questo è il succo del discorso.
Il Ministero dell’Interno non può addurre rapporti di parentela strani e metterli in correlazione con la tua affidabilità o probabilità di abuso delle armi: sappi che l’amministrazione deve sempre provare il nesso tra questi due fattori e, se non lo fa, si espone al ricorso.
A prescindere dall’indebita integrazione della motivazione del provvedimento che vai ad impugnare in causa, che già da solo vizia irrimediabilmente lo stesso, gli assunti su cui poggia il diniego non possono essere basati solo sui segnalati rapporti di parentela, senza alcuna valutazione circa le refluenze che questi possono avere sulla tua vita.
Ormai è un fatto pacifico tra i giudici che l'Amministrazione non può negare il permesso di porto d'armi limitandosi ad addurre rapporti di parentela o di affinità con un pregiudicato, senza poi in concreto valutarne l'incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso delle armi.
In definitiva: i pregiudicati in famiglia possono anche esserci, ma ciò non significa che questa presenza vada a contaminare chi è interessato a presentare l’istanza.
[1] Tar per la Sicilia Sez. Prima, sentenza n. 1475/2021.
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