I rapporti di vicinato problematici possono comportare conseguenze negative in materia di armi; tuttavia non sempre è così.
Il Prefetto rigetta un tuo ricorso gerarchico contro un diniego del rilascio di licenza di porto di fucile uso tiro a volo emesso dal Questore.
Il motivo di fondo è una situazione conflittuale tra te e tuo cognato, che abita nello stesso condominio in un appartamento sottostante.
Il provvedimento del Prefetto parla di un coinvolgimento in una situazione di tensione e di conflitto, durata negli anni e sfociata pure in un intervento delle Forze dell’ordine per sedare una lite in corso.
Fatto che, a dire dell’amministrazione, denota scarso controllo da parte tua e mancanza di serene relazioni con gli altri consociati, con conseguente pericolo di abuso del titolo di polizia.
Tu però non ci stai e presenti il ricorso.
Il Tar lo accoglie e vediamo perché [1].
Sulla base della documentazione raccolta non è chiara la dinamica dell’intervento ed, in particolare, chi abbia chiamato la Polizia e per quali motivi.
Non è chiara neppure la dinamica dei fatti che, comunque, devono essere stati di scarsissima rilevanza vista l’assenza di prova di procedimenti penali in corso o comunque instaurati a carico tuo o delle parti, a seguito di tale intervento.
Non risulta poi che tu abbia profferito ingiurie o minacce all’indirizzo di tuo cognato, né che sei passato alle vie di fatto.
Insomma niente di niente e sappiamo, dagli insegnamenti dei Saggi giuristi, che dal niente non si costruisce niente.
Per quanto la decisione del Ministero dell’Interno sia discrezionale per Legge, sembra chiaro che in mancanza di riscontri oggettivi di una vera lite con tuo cognato, la decisione del Prefetto risulta alla fine sbagliata e va rivista.
Anche perché nel ricorso hai ben spiegato la singolarità ed occasionalità dell’episodio; l’assenza di condanne a tuo carico; l’irrilevanza penale dei fatti posti a fondamento della querela visto un decreto di archiviazione del Giudice di Pace; la portata dei rapporti tra te e il querelante maturati in sede lavorativa e che sul piano personale presentano elementi non univoci, che potrebbero portare ad ipotizzare anche esiti diversi dal sicuro e progressivo degradarsi delle relazioni; il ripetuto e documentato rivolgersi alle forze dell’ordine da parte del querelante per questioni squisitamente aziendali e lavorative, ritenute poi irrilevanti dai medesimi agenti intervenuti.
Insomma: diversi elementi che non possono che condurre i Giudici a chiedere al Prefetto di riesaminare tutta la questione, accogliendo il ricorso gerarchico contro il diniego del Questore.
[1] Tar Piemonte Sezione Seconda, sentenza n. 470/21 pubblicata in data 10.05.2021.
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