Una singola querela per minaccia da parte di un familiare, che non viene approfondita con l’istruttoria amministrativa, non può essere utilizzata per emettere un divieto di detenzione armi a carico di chi viene denunciato.
Il Questore ti revoca la licenza di porto di fucile per uso caccia e il Prefetto ti notifica un divieto di detenzione armi.
Dicono che, a tuo carico, c’è una querela per minaccia che crea qualche problemino.
Tu, al contrario, dici che questa querela è rimasta così: cioè una pura e semplice querela non seguita da indagini specifiche tendenti a verificare se c’è stato veramente il reato denunziato.
Per altro: in sede penale hai avuto l’archiviazione da parte del Giudice di Pace e in sede amministrativa non si è saputo più niente dalla Prefettura.
Quindi, chi ha ragione? Tu o il Prefetto?
Il divieto irrogato dal Prefetto è legittimo o no?
Ebbene: hai ragione tu e ti dico anche perché il divieto di detenzione va annullato.
I tribunali italiani ti danno ragione in casi come questo in quanto, mentre da una parte sono per forza tenuti a sottolineare la famosa discrezionalità che, in ogni caso, è nelle mani del Ministero dell’Interno, dall’altra notano che sulle querele congegnate nel modo sopra spiegato manca proprio l’istruttoria successiva, oltre che una valida motivazione nel divieto di detenzione.
Dunque: se manca l’istruttoria dopo la querela, come si fa ad emettere un divieto di detenzione armi? Su quali presupposti?
Non ci si può basare, evidentemente, sulle sole parole di chi presenta la denuncia, perché la querela potrebbe essere fasulla, come del resto spesso accade.
Ecco perché in queste circostanze ti conviene partecipare attivamente al procedimento amministrativo che viene avviato dal Prefetto e presentare poi il ricorso al Tar, chiedendo ed ottenendo l’annullamento del divieto che andrai ad impugnare [1].
In definitiva: ti devi muovere bene e per tempo con l’avvocato giusto che tratta la materia quotidianamente e che, in sostanza, può assicurarti una prestazione ad alto contenuto tecnico.
[1] Tar per la Toscana Sezione Seconda, sentenza n. 966 del 24.06.2021.
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