La risposta è NO. Va detto subito
Infatti la causa viene vinta dal ricorrente
Altro caso utile ed interessante per gli appartenenti al mondo armiero in generale e al mondo della caccia in particolare.
Una sentenza di luglio del Tar Bari, da tenere a mente data la sua importanza.
Un caso dove il Tar spiega che la presunta pericolosità di un familiare non esiste se non è dimostrata da parte dell’Autorità amministrativa (almeno in via potenziale) l’incidenza di tale legame con l’affidabilità sull’uso lecito dell’armamento.
E’ un tema che trattiamo centinaia di volte sfogliando le numerose pagine delle sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato; nel nostro bel Paese la questione si affronta più che spesso.
Allora vediamola un po’ più da vicino, con l’aiuto della giurisprudenza del Tribunale amministrativo.
La vicenda
Partiamo dall’inizio, cercando di semplificare al massimo.
Dunque: il Questore ha respinto l'istanza presentata dal ricorrente per ottenere il rinnovo di licenza di porto di fucile per uso caccia.
Si evoca la questione della presunta pericolosità di un congiunto in famiglia.
La tesi del ricorrente
Il ricorrente, dal canto suo, impugna il diniego di rinnovo di porto di fucile uso caccia motivato dal contesto familiare.
Nel suo ricorso cerca di mettere in evidenza che il provvedimento impugnato è illegittimo, visto che non traspare in alcun modo il pericolo della commissione di abuso delle armi.
Difatti, sostiene a viva forza l’interessato, non c’è traccia di addebiti specifici; inoltre non si tiene conto che gli episodi contestati nel provvedimento risalgono pure a diversi anni prima, molti anni addietro.
La tesi dell’Amministrazione dell’Interno
Spostandoci sul fronte opposto, la posizione dell’amministrazione è, neanche a dirlo, di fermo contrasto.
Il problema da risolvere
Il succo della questione, allora, eccolo qua.
Di fronte alle tesi contrapposte, i “parenti pericolosi” sono o non sono “realmente pericolosi” (si perdoni il bisticcio di parole) per chi chiede, come l’interessato nel caso in commento, il rinnovo?
Ebbene, il Tar Bari propone a questo punto una soluzione sensata e utile:
Dice infatti:
- considerato che il diniego si fonda sulla contestazione della presunta pericolosità di un congiunto, in assenza di addebiti precisi e senza chiarire in concreto gli effetti -almeno potenzialmente- pregiudizievoli sull'affidabilità del soggetto titolare del porto di pistola in contestazione;
- visto che in trent'anni nessun rilievo è stato mosso al ricorrente sotto il profilo della buona condotta e dell'osservanza delle cautele prescritte per l'uso, la detenzione e la custodia delle armi (come attestato nello stesso provvedimento gravato e che, a tutt'oggi, è rimasto incontestato che le armi stesse vengano custodite in apposito armadio di sicurezza blindato);
- visto che il giudizio di inaffidabilità espresso dall'Amministrazione resistente non è sorretto da sufficienti elementi atti a dimostrare in concreto il pericolo di abuso delle armi;
- visto che non è fondato il giudizio sulla sopravvenuta inaffidabilità del soggetto di cui si tratta;
- visto che nel caso concreto la segnalazione di cui si fa riferimento nel provvedimento risale al 2009, quando il congiunto risultava convivente con lo stesso richiedente;
- visto che tuttavia, oggi dalla documentazione risulta che la persona non è più residente nel luogo dove risiede il ricorrente e che i certificati penali dello stesso sono negativi, con la conseguenza che il giudizio di inaffidabilità espresso dall'Amministrazione non è supportato da sufficienti elementi atti a dimostrare il pericolo di abuso delle armi;
- né risulta che al ricorrente sia stato mosso in passato alcun addebito nella utilizzazione dell'arma:
Per tutte queste ragioni il ricorso va accolto e va annullato il provvedimento impugnato.
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