Mercoledì, 13 Marzo 2019 14:02

Licenza uso caccia non rinnovata: cose da sapere

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LICENZA USO CACCIA NON RINNOVATA: COSA DA SAPERE

 

Diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia.

Come comportarsi e cosa fare quando, dopo essere stati titolari della licenza per trent’anni o più, senza dare luogo a rilievi di sorta, viene adottato un provvedimento di diniego del rinnovo.  

Cose da sapere sul corretto modo di gestire, a livello amministrativo, la questione delle vecchie condanne penali e, allo stesso tempo, come dare il giusto peso ed importanza alla riabilitazione insieme ad altri indici rivelatori dell’affidabilità attuale.

 

Indice

Il diniego della Questura.

Il ragionamento del Giudici.

Il vincolo della norma.

Come la Questura deve interpretare la vecchia condanna.

Come si risolve la questione.

Cosa fa lo studio legale per tutelare chi chiede il rinnovo della licenza.

 

 

Il diniego della Questura

Ipotizziamo che il diniego di cui parliamo si basi, per la Questura, sull’art. 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che, al primo comma, lett. c), preclude il rilascio della licenza di porto d’armi a chi abbia riportato una condanna per porto abusivo di armi.

In questo senso, una più che remota sentenza di condanna irrevocabile per il reato di violazione delle disposizioni sul controllo delle armi sarebbe, quindi, di natura ostativa ai fini del rinnovo dell'autorizzazione richiesta.

Una conclusione che, per altro, secondo la tesi solitamente proposta dall’amministrazione, potrebbe trovare conferma in un orientamento giurisprudenziale stabilizzato (es. Consiglio di Stato, Terza Sezione, sent. 14 febbraio 2017, n. 658).

 

 

Il ragionamento dei Giudici.

Ebbene, di fronte ad una situazione come quella descritta i Giudici, dovendo esaminare il ricorso di chi sceglie di reagire al diniego, ben possono non condividere questa impostazione e, in ultima analisi, arrivare per altra via a dar ragione alla persona interessata.

Cerchiamo di cogliere, allora, i punti chiave che illustrano il corretto ragionamento da fare.

Lo spunto ci viene dato dalla sentenza n. 30/19 del Tar per la Basilicata, pubblicata il 07.01.2019.

In pratica, i Magistrati possono scegliere il differente orientamento in virtù del quale, pur potendosi condividere in linea di massima l’assunto secondo cui le condanne per i reati indicati nel ripetuto art. 43, comma primo, divengono speciali incapacità ex lege al rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni di polizia (tali da non esser superate dalla riabilitazione dell’interessato) tuttavia, non si può trarre da tali vicende il carattere d’irreversibile permanenza del loro effetto ostativo, non superabile da alcuna situazione sopravvenuta, anche nella delicata materia della detenzione e dell’uso delle armi.

 

 

Il vincolo della norma.

Infatti, quando diciamo della vincolatività della norma, ci riferiamo al fatto che questo vincolo è preclusivo, ma per entrambi gli attori del procedimento di rilascio o rinnovo, di ogni automatismo.

Tradotto in termini più semplici:

da una parte, il privato non può pretendere niente dall’amministrazione per il solo fatto dell’avvenuta riabilitazione da condanne per i reati indicati nell’art. 43, primo comma;

dall’altra, la P.A. non può considerare le condanne come se fossero immodificabili vita natural durante, dal momento che una soggezione perpetua così congegnata non esiste nell’Ordinamento.

Ancora per fare un esempio: se fosse consentito alla P.A., sempre e comunque (e, quindi, senza badare all’evoluzione d’ogni singola vicenda), una motivazione di rigetto completamente sganciata dalla realtà attuale e condizionata solo da condotte risalenti ad un passato ormai remoto e non più riprodotto, la norma risulterebbe violata e pure di dubbia legittimità costituzionale mentre, com’è noto, il giudice deve privilegiare una interpretazione della norma conforme alla Costituzione.

 

 

 

Come la Questura deve interpretare la vecchia condanna.

In definitiva: una condanna per delitti non colposi riportata tanti anni fa, per la quale è intervenuta la riabilitazione, diventa un ostacolo per il rinnovo della licenza di porto d’armi solo quando coesistono indici accertati di attuale pericolosità ed inaffidabilità del richiedente.

La questione si risolve allora in questo modo.

L’Amministrazione deve operare una concreta prognosi che tenga conto, oltre che della condanna, anche:

·        dei pregressi rilasci o rinnovi del titolo di polizia,

·        della condotta tenuta dall’interessato nel tempo successivo alla condanna,

·        di fatti eventualmente sintomatici della pericolosità effettiva ed attuale di questi,

·        di ogni altro elemento utile a mettere in evidenza la personalità, compresa la riabilitazione,

·        del parere del locale Comando dei Carabinieri.

 

 

Come si risolve la questione.

Il dilemma si risolve con una complessa valutazione d’insieme da parte dell’amministrazione.

I reati e le condanne risalenti a decenni addietro, la riabilitazione, il rilascio del titolo di polizia da più di trent’anni, i ripetuti atti di rinnovo  che danno origine ad un affidamento giuridicamente tutelabile, il parere favorevole del Comando Carabinieri, il comportamento e la posizione complessiva del richiedente sono, in definitiva, tutti parametri che permettono di valutare la sussistenza o meno del giudizio prognostico di pericolosità e inaffidabilità.

Quindi, per restare al caso qui preso come spunto: che consentono, ragionevolmente, di non negare il rinnovo.

 

 

Cosa fa lo studio legale per tutelare chi chiede il rinnovo della licenza.

L’Avv. Francesco Pandolfi tratta abitualmente la materia del diritto amministrativo delle armi, sia in sede contenziosa che precontenziosa.

Numerosi sono i provvedimenti favorevoli ottenuti dallo Studio Legale nell’interesse dei propri Assistiti.

Per avere una valutazione di fattibilità del caso, basta chiedere un parere tramite la mail di studio.

 

 

 

Altre informazioni su questo argomento?

Contatta l’Avv. Francesco Pandolfi

3286090590

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Letto 14158 volte Ultima modifica il Mercoledì, 13 Marzo 2019 14:10
Francesco Pandolfi e Alessandro Mariani

Francesco Pandolfi

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Francesco Pandolfi AVVOCATO

Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.

Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.

E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".

La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".

Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.

I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.

Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.

 

 

Alessandro Mariani Avvocato

data di nascita: 08/04/1972

 

Principali mansioni e responsabilità: 
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.

 

 

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