Quando, come e perché impugnare il diniego di rinnovo della licenza di porto d’armi per fine sportivo opposto dal Questore.
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Con un ricorso, notificato nei 60 giorni dall'inoltro del provvedimento, la persona interessata impugna il diniego di rinnovo della licenza di porto d’armi per fine sportivo opposto dal Questore, motivato dal pericolo di abuso da parte dei figli conviventi con precedenti penali, oltre dall’assenza di prove circa la frequenza di un poligono di tiro.
A supporto del diniego l’Amministrazione porta motivi sia riferibili alla condotta della persona, la quale non avrebbe frequentato poligoni di tiro sia, soprattutto, ai figli conviventi in relazione ai precedenti penali riportati per violazione della normativa in tema di stupefacenti e contro il patrimonio.
Il ricorrente deposita in giudizio la documentazione comprovante il regolare uso delle armi (in verità quanto alla frequentazione del poligono di tiro successiva all’emanazione dell’atto impugnato), fermo restando che secondo i giudici questa circostanza non rileva per il diniego del porto d’armi.
Ad ogni modo, il Tar dà ragione al ricorrente [1].
Vediamo perché.
Il provvedimento di diniego viene impugnato con un ricorso giudiziale avanti il Tar competente.
I giudici ritengono che il diniego all’uso delle armi implichi la valutazione del pericolo di abuso dell'arma.
Cioè: è sufficiente a giustificare l'adozione del provvedimento negativo la presenza di circostanze tali da ritenere esistenti i possibili rischi di inappropriato o abusivo uso delle armi da parte del titolare.
Bisogna impugnare perché va disarticolata la tesi sbagliata del Questore.
Secondo la giurisprudenza il tipo di pericolo che gli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S. consentono di ovviare non è soltanto quello riguardante la sola affidabilità del soggetto, ma si allarga sino a considerare anche situazioni di pericolo obiettive ed indipendenti dalla sua persona, relative a rapporti intrattenuti con soggetti terzi.
Sono questi i casi dove egli deve adoperarsi affinché non vi sia pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni familiari o personali.
Il pericolo può essere dunque sicuramente desunto dall’incauta custodia di un'arma indipendentemente dal comportamento tenuto personalmente dal soggetto interessato nell'uso delle armi, essendo il giudizio di inaffidabilità esteso necessariamente anche a garantire che le armi in dotazione del titolare non entrino nella disponibilità di terzi non autorizzati.
Tuttavia, nel caso concreto qui preso come spunto per il commento e risolto dal Tar per l’Emilia, il Collegio ha ritenuto del tutto indimostrato dalla Questura il temuto pericolo, dal momento che da un lato la parte privata ha dimostrato la corretta custodia delle armi, chiuse in cassaforte a cui i conviventi non hanno accesso, e dall’altro l’Amministrazione non ha fornito alcun elemento idoneo a contrastare tale assunto.
In conclusione, il diniego del Questore è stato giustamente annullato.
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[1] Tar per l’Emilia Romagna, Sez. Prima, sentenza n. 595 del 21.06.2021.
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