Utilizzo, da parte del militare, della messaggistica WhatsApp con propria fotografia, in divisa, per fatti privati. Sospensione disciplinare dall’impiego per mesi due. Annullamento della sanzione disciplinare impugnata.
Procedimento disciplinare
Siamo in tema di procedimenti disciplinari per militari, forze armate e di polizia, in relazione all’utilizzo della messaggistica WhatsApp, con uniforme militare, per fatti privati.
A tal proposito, prendiamo spunto dalla sentenza Tar Bologna n. 124 del 18.02.2021.
Per i giudici, due sono gli aspetti importanti da considerare.
Il primo, un po’ più generale, è questo.
L’art. 720 co. 2 lett. b. d.P.R. 15 marzo 2010 n. 90 vieta al militare l’uso dell’uniforme nello svolgimento delle attività private.
Nel caso specifico i giudici segnalano che, benché l’applicativo WhatsApp sia uno strumento di comunicazione a distanza di natura privata e non proprio un social network destinato ad una pluralità di persone, la condotta del militare appare comunque illecita e incompatibile con lo status di militare, non risultando verosimile l’invocata esimente della finalità di garantire la propria affidabilità personale.
Andando a frugare tra le carte, l’addebito risulta essere stato il seguente: il militare procedeva alla vendita di un cucciolo di razza Bouledogue Francese, in violazione delle norme che, al fine di prevenire il traffico illecito di animali da compagnia stabiliscono l’obbligo in capo al detentore di cani, di identificare e registrare l’animale in possesso mediante microchip prima di procedere alla vendita dello stesso. Peraltro, per il buon esito della vendita e a garanzia della propria serietà, precisava di essere un militare ed inviava delle foto che lo ritraevano in mimetica; proponeva tramite un noto sito internet un elevato numero di pubblicazioni recanti la vendita di cuccioli di varie razze in diverse città d’Italia, lasciando come riferimento un’utenza mobile intestata all’amministrazione militare.
Il secondo aspetto, più specifico è, invece, il seguente.
Sanzione disciplinare sproporzionata
Non è ragionevole e non è proporzionata, rispetto alla condotta, l’inflitta sanzione della sospensione dal servizio per due mesi.
E’ vero che in tema di sanzioni disciplinari per impiegati delle forze armate, l'amministrazione dispone di un'ampia sfera di discrezionalità nell'apprezzamento della gravità dei fatti e nella graduazione della sanzione disciplinare, fermo però restando che l'applicazione della misura afflittiva deve essere parametrata a ragionevolezza e proporzionalità rispetto alla rilevanza dell'illecito ascritto.
La conseguenza è questa: se normalmente il giudice amministrativo non può sostituire la propria valutazione a quella della competente autorità amministrativa, sono però fatti salvi i limiti della manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà della valutazione dell'autorità procedente.
Nel caso valutato dal Tar, la sanzione della sospensione dal servizio irrogata al militare, tenuto conto dei fatti concretamente oggetto dell’addebito, sembra illogica, tenuto conto della dinamica dei fatti e della natura pur sempre privata del contesto in cui è stata realizzata la condotta, fermo restando - come detto - la sua rilevanza disciplinare.
La sanzione è stata, dunque, annullata.
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