L’interessato ricorre avverso un decreto del Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Civile, con il quale gli “è inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per gg 10, ai sensi dell’art. 13 co. 3 lett. “i” CCNL 12.06.2003 e succ. modif.”.
Indice
Nello specifico, la Direzione Generale presenta una proposta di sanzione disciplinare nei confronti della persona interessata, avente ad oggetto un procedimento disciplinare prima avviato e poi sospeso con lettera del xx.xx.2007, quindi riattivato con nota datata xx.xx.2018.
Per la proposta sanzionatoria il Direttore di Divisione richiama:
il deferimento del dipendente all’A.G. avvenuto nel 2007 per le ipotesi di reato ex art. 609 bis e 660 c.p.;
la riattivazione del procedimento disciplinare sospeso in attesa della definizione della posizione penale, essendo pervenuta nel 2018 la sentenza emessa nel 2016 dalla Corte Suprema di Cassazione con la quale, riqualificata la condotta nel reato p. e. p. dagli artt. 56 e 609 bis c.p. annullava senza rinvio la sentenza impugnata, a fronte di reato estinto per prescrizione;
una sentenza emessa dal Tribunale nel 2007, dove si dichiara la colpevolezza sull’ipotesi ex art. 609 bis c.p. e il non doversi procedere in ordine al reato ex art. 660 c.p. ormai prescritto;
una la sentenza emessa dalla Corte di Appello nel 2015 che, in parziale riforma della pronuncia di primo grado revoca la condanna al rimborso delle spese sostenute in prime cure, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Nel provvedimento amministrativo, il Direttore da conto anche della linea difensiva dell’incolpato, ossia:
la risalenza del fatto ad oltre 12 anni addietro;
il fatto che si era trattato di una relazione con un’ex fidanzata e non certo di un’intrusione nella sua sfera sessuale;
l’esclusione categorica dell’ipotesi di violenza sessuale in quanto si era trattato di un mero tentativo di conciliazione tra le parti, seguito dall’allontanamento della donna che aveva manifestato di non gradire un eventuale bacio;
l’inesistenza di qualsivoglia volontà aggressiva a danno della Signora.
Viene dunque notificato un decreto a mezzo del quale viene inflitta la sanzione disciplinare.
Il provvedimento si fonda:
sull’avvenuta conoscenza, avvenuta nel 2007, dell’esercizio dell’azione penale nei confronti del funzionario ricorrente,
sulla contestazione di addebiti del 2007,
sulla sentenza della Corte di Cassazione,
sulla riattivazione del procedimento disciplinare pendente nei confronti del ricorrente,
sul verbale di audizione del dipendente del 2018 e la proposta di sanzione formulata dal Direttore di Divisione.
Il Tribunale, respingendo la memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato, ritiene fondato il ricorso della persona interessata (sentenza n. 545/19 Trib Venezia Sez. lavoro).
La sentenza di accoglimento del ricorso
Di seguito il passaggio chiave della pronuncia di primo grado, depurato dai dati personali.
“A seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte della Procura nei confronti del ricorrente per i reati di cui agli artt.609 bis cp e 660 cp, l’Amministrazione resistente avviava il procedimento disciplinare nei confronti di Tizio e contestualmente lo sospendeva, conformemente all’allora vigente C.C.N.L. 12 giugno 2003, il cui art. 14, comma 2, per l’appunto prevedeva che “quando l’amministrazione venga a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a carico del dipendente per i medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare, questo è sospeso fino alla sentenza definitiva”.
La vicenda penale si è conclusa con sentenza della Corte di Cassazione, depositata nel 2017, con cui la Suprema Corte annullava senza rinvio la decisione della Corte d’Appello, riqualificato in tentativo di violenza sessuale il reato per il quale il ricorrente era stato condannato e rilevata l’intervenuta prescrizione dello stesso.
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 65 C.C.N.L. 12.2.2018, con nota del 2018 notificata all’interessato in pari data, l’Ufficio competente riprendeva il procedimento disciplinare sospeso nel 2007.
Il dipendente veniva convocato a difesa nel 2018 e poi gli veniva irrogata la sanzione disciplinare qui impugnata.
Ogni valutazione, dice l’accorto Tribunale, della legittimità del procedimento disciplinare muove necessariamente dalla ricostruzione della normativa applicabile ratione temporis.
Come noto, l’art. 55 bis del D. L.vo 30.3.2001 n.165, che disciplina “forme e termini del procedimento disciplinare”, è stato introdotto dall’art.69 del D. lg.vo 27.10.2009 n.150 (cd. Riforma Brunetta) e le disposizioni ivi contenute, in assenza di una norma transitoria che disponga il contrario, sono destinate a trovare applicazione dal momento di entrata in vigore della legge.
Il suddetto art.55 bis è stato ampiamente novellato dal D. lg.vo 25.5.2017 n. 75.
La novella peraltro, per effetto della norma transitoria dettata dall’art.22 comma 13 D. Lgs. cit., è applicabile solo agli illeciti commessi successivamente al 22.6.2017.
Orbene, nel caso di specie, il preteso illecito è stato contestato nel lontano 2007 e il relativo procedimento disciplinare è rimasto sospeso, in attesa degli esiti del procedimento penale, sino al 2018.
L’illecito per cui si procede risulta commesso in data anteriore al 22.6.2017, per cui trova applicazione la formulazione originaria dell’art.55 bis, introdotta dalla “Riforma Brunetta”, che prevedeva tra l’altro la necessaria conclusione del procedimento disciplinare entro 60 giorni dalla contestazione.
A fronte della ripresa del procedimento disciplinare come da nota n.14355 dell’1.3.2018, la sanzione risulta irrogata solo il 5.6.2018, ben oltre il termine perentorio di 60 giorni imposto, ratione temporis, dalla legge.
Ne consegue la nullità della sanzione disciplinare essendo l’Amministrazione decaduta dal potere di irrogarla, a prescindere da ogni valutazione nel merito della vicenda”.
Il Ministero della Difesa viene anche condannato alle spese di lite.
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