Lunedì, 29 Marzo 2021 18:18

Militari: sospensione precauzionale dall’impiego, a titolo discrezionale

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 Tar per il Piemonte, Sezione Prima, sentenza n. 527/13.

 

 

 

Un militare impugna un provvedimento della Guardia di Finanza, avente ad oggetto la sospensione precauzionale dall’impiego, a titolo discrezionale.

 

In sintesi: il maresciallo è sottoposto ad indagini per aver consultato abusivamente il registro generale della Procura e fornito notizie su un procedimento penale pendente, al fine di riceverne in cambio, sotto forma di utilità, un avanzamento in carriera; inoltre si prospettavano pure altre ipotesi di reato.

 

Il Gip dispone nei suoi confronti la custodia cautelare degli arresti domiciliari, poi commutata in divieto di dimora in edifici adibiti ad uffici giudiziari; mentre in sede amministrativa è adottata la misura della sospensione precauzionale dall’impiego a titolo obbligatorio, poi revocata in esito alla decisione del Tribunale del Riesame.

 

Sopravviene, poi, la perdita di efficacia della misura cautelare, cosicché il militare viene prima riammesso in sede e, dopo, trasferito.

 

A seguito di rito abbreviato il G.U.P. accerta la responsabilità del maresciallo per i reati di cui agli artt. 615 ter, 326 e 378 c.p. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni 2 con il beneficio della sospensione condizionale della pena; viene assolto, invece, con formula piena, dal reato di cui all’art. 321 c.p.

 

L’amministrazione quindi dispone la sospensione obbligatoria dall’impiego, andando di contrario avviso rispetto ai pareri, obbligatori, del Responsabile del Nucleo di Polizia Tribunale, del Comandante Provinciale e del Comandante Regionale, raccolti nell’ambito del procedimento avviato a tale scopo.

 

Nel mentre, il militare da una parte presenta il suo appello avverso la sentenza penale di condanna, pronuncia che restava non gravata dal Pubblico Ministero, dall’altra impugna il provvedimento di sospensione cautelare dall’impiego deducendone l’illegittimità per i vari motivi.

 

I giudici dispongono la sospensione del provvedimento impugnato sul rilievo che questo si discosta senza adeguata motivazione dai tre pareri assunti nel corso del procedimento, nonché sulla considerazione che la sentenza penale, non comminando pene accessorie ed avendo concesso la sospensione condizionale della pena non è idonea a determinare, una volta passata in giudicato, la rimozione del grado quale conseguenza automatica.

 

Nella decisione del tribunale amministrativo si può apprezzare il seguente articolato ragionamento, che alla fine porta i magistrati ad accogliere il ricorso del dipendente.

 

La sospensione precauzionale dall’impiego può essere disposta sia, ai sensi dell’art. 916 D. L.vo 66/2010, quando il militare sia “imputato” di un reato che possa comportare la rimozione del grado sia, ai sensi del successivo art. 917, “durante” un procedimento disciplinare instaurato per fatti di notevole gravità suscettibili di essere puniti con la perdita del grado per rimozione, ovvero, ai sensi del comma 2, “in vista dell’esercizio della azione disciplinare, ma la stessa é revocata a tutti gli effetti se la contestazione degli addebiti non ha luogo entro sessanta giorni dalla data in cui é stato comunicato il provvedimento di sospensione”.

 

La sospensione precauzionale ex art. 916 ha dunque la funzione di anticipare, in un’ottica cautelativa, le conseguenze - automatiche – di una sentenza penale di condanna dalla quale si attendono determinati esiti e pertanto non può fungere da strumento anticipatorio di un possibile procedimento disciplinare: a tale scopo l’ordinamento ha infatti previsto la sospensione precauzionale ex art. 917 che però può essere disposta ove già penda un procedimento disciplinare, che nel caso di specie non risultava essere stato promosso, ovvero anche “ante causam”, dovendo però in tal caso essere revocata ove entro i successivi sessanta giorni l’azione disciplinare non sia esercitata.

 

L’art. 866 del D. L.vo 66/2010 statuisce poi che “La perdita del grado, senza giudizio disciplinare, consegue a condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all’articolo 19 comma 1, numeri 2) e 6) del codice penale. I casi in base ai quali la condanna penale comporti l’applicazione della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici sono contemplati rispettivamente, dalla legge penale militare e dalla legge penale comune.”

 

Tenuto conto del fatto che la rimozione del grado quale conseguenza automatica di un procedimento penale non dipende dalla lunghezza delle pene accessorie (che in molti casi é predeterminata dalla legge, in altri deve essere quantificata dal giudice tra un minimo ed un massimo) e che, inoltre, laddove previste dalla legge esse conseguono di diritto alla condanna penale inflitta dal giudice, é evidente che ai fini della rimozione del grado rileva solo il titolo del reato e non anche la condanna in concreto inflitta.

 

Tuttavia é indubitabile che la norma non consente di disporla quando la sentenza di condanna, per quanto definitiva, abbia concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.

 

Ciò per l’evidente ragione che la pena sospesa impedisce l’applicazione delle pene accessorie (art. 166 c.p.) e che, in caso contrario, si finirebbe per collegare la massima sanzione disciplinare ad un reato suscettibile di estinguersi nel quinquennio successivo (art. 167 c.p.).

 

Di conseguenza, il militare che riporti una condanna a pena sospesa per un reato che comporti l’applicazione della rimozione o della interdizione dai pubblici uffici non potrà subire la perdita del grado per rimozione quale effetto automatico della condanna, ma solo, ai sensi dell’art. 865 D. L.vo 66/2010, a seguito di apposito giudizio disciplinare instaurato ai sensi degli artt. 1370 e segg. D. L.vo 66/2010.

 

Ora, il Tar considera che, seppure è evidente che ai fini della sospensione ex art. 916 è sufficiente la mera qualità di “imputato”, non si può neppure sottacere che normalmente una simile misura cautelare viene adottata nella fase iniziale del medesimo, quando ancora vi é estrema incertezza sul suo esito.

 

Segnala poi che lo stretto legame genetico che unisce la misura cautelare in argomento agli esiti di un procedimento penale impone di tenere in considerazione, ai fini della adozione della misura o del mantenimento della stessa, l’evoluzione del procedimento stesso e le sue emergenze, le quali fungono pertanto da limite alla discrezionalità di cui le autorità militari dispongono nel decretare la sospensione precauzionale dell’impiego.

 

Vuol dire, con questo, che tanto più nel corso del procedimento penale emergono circostanze tali da far ritenere possibile o probabile un esito favorevole all’imputato - anche solo per la concessione della sospensione condizionale della pena -tanto più rigorosa deve essere la motivazione posta a sostegno della sospensione precauzionale, o della eventuale decisione di non revocarla, non corrispondendo a canoni di ragionevolezza e di prudenza il provvedimento cautelare che anticipi gli effetti di una sentenza di condanna nel momento in cui già sussistono dubbi sull’esito del giudizio.

 

La sospensione precauzionale dall’impiego adottata ai sensi dell’art. 916 del Ordinamento Militare, per quanto costituisca un provvedimento ampiamente discrezionale deve comunque tenere conto dell’evoluzione e delle emergenze del procedimento penale i cui esiti essa tende ad anticipare; pertanto quando essa venga adottata all’indomani di una sentenza di primo grado inidonea a determinare la perdita del grado quale conseguenza automatica, essa deve fondarsi su una motivazione che dia conto, in modo rigoroso, dell’interesse pubblico a disporre una tale misura cautelare prescindendo da un apposito giudizio disciplinare.

 

Nel caso esaminato il Tar per il Piemonte osserva che: mentre non risulta essere mai stato avviato un procedimento disciplinare nei confronti del maresciallo, la sospensione precauzionale dall’impiego è stata adottata non nella fase delle indagini né all’indomani del rinvio a giudizio, ma solo dopo la sentenza di primo grado che assolveva il ricorrente dal capo di imputazione più grave e che lo condannava per i reati meno gravi concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena, creando così le premesse per il passaggio in giudicato di un titolo inidoneo a determinare la rimozione del grado.

 

Invece il provvedimento dell’amministrazione non si è posto minimamente il problema delle conseguenze derivanti dalla concessione della sospensione condizionale della pena e della conferma in appello di tale statuizione, e l’omessa considerazione di tale problema appare tanto più irragionevole ove si rammenti che le sentenze non appellate dal Pubblico Ministero non possono essere riformate in peggio – in forza del noto divieto di reformatio in pejus sull’appello dell’imputato -, e che pertanto di lì a poche settimane dopo il Comandante avrebbe avuto a disposizione elementi più significativi per effettuare una prognosi in ordine al possibile esito del giudizio d’appello: in particolare, constatato il mancato appello del Pubblico Ministero  il Comandante avrebbe potuto escludere sia una condanna ad una pena più grave sia la revoca del beneficio della sospensione condizionale.

 

In effetti, dice il Tar, da tutta questa vicenda emerge una fretta anomala nella adozione del provvedimento cautelare, mal conciliata con la tardività dello stesso.

 

Il procedimento penale era in corso, infatti, sin dal 2010, e dal 22 luglio 2010 il ricorrente era stato sottoposto alla misura cautelare del divieto di dimora presso uffici giudiziari.

 

Il GIP aveva poi dato atto della sopravvenuta perdita di efficacia di tale misura cautelare ed il dipendente era stato reintegrato nel Nucleo di Polizia Tributaria, per esserne spostato solo dal successivo mese di novembre.

 

Poi il Pubblico Ministero ne aveva chiesto il rinvio a giudizio, ed ancora, pur davanti ad una imputazione grave come quella inerente la violazione dell’art. 321 c.p., la sospensione precauzionale non era stata disposta.

 

Quindi non si comprendeva e non si comprende, prosegue il Tar nel suo ragionamento, che fretta vi fosse nell’adottare l’anzidetta misura senza attendere almeno di verificare se il Pubblico Ministero avrebbe impugnato la sentenza, tenuto conto del fatto che tutte le ragioni indicate a fondamento della misura – e cioè: la gravità del fatto commesso, il pregiudizio connesso al fatto di non poter adibire il ricorrente a mansioni operative, la necessità di effettuare un bilanciamento degli interessi ed il nocumento per la immagine ed il decorso del Corpo – certamente preesistevano da tempo e che, in particolare, non risultava che la vicenda penale avesse avuto risonanza in concomitanza con la pubblicazione della sentenza di primo grado.

 

Su questo specifico punto il provvedimento impugnato è assolutamente generico, di talché si poteva presumere che della vicenda i media avessero trattato all’epoca in cui venivano disposte le misure cautelari e non in concomitanza con la sentenza di primo grado, resa tra l’altro a seguito di giudizio non pubblico.

 

Conferma in tal senso si trae proprio, dice il Tar, dalla motivazione di due dei tre pareri raccolti nel corso del procedimento, e precisamente dal parere reso dal Comandante Provinciale, il quale mette in evidenza come “gli effetti dei comportamenti richiamati nei capi di imputazione sono rimasti circoscritti nell’ambito della cronaca locale dei quotidiani…” , e dal parere del Responsabile del Nucleo di Polizia Tributaria, nel quale si legge che “la sentenza non ha avuto risonanza negli organi di informazione e quindi nell’opinione pubblica”.

 

La preoccupazione di preservare il decoro ed il prestigio del Corpo suggeriva, invece, di adottare la sospensione precauzionale quale misura sostitutiva alla sospensione obbligatoria, revocata sin dal luglio 2010 in concomitanza con la revoca degli arresti domiciliari; ed il fatto che a tale aspetto si sia pensato solo due anni dopo non può non essere riguardato come comportamento immotivato e contraddittorio, oltre che inutile allo scopo, non constando che la stessa misura cautelare impugnata, che evidentemente voleva costituire una punizione esemplare, abbia avuto pari risonanza da parte dei media: ed infatti, pure ammettendo che la vicenda avesse potuto  generato un qualche danno all’immagine della Guardia di Finanza, non si capisce come tale immagine potesse essere stata ristabilita nella opinione pubblica se non dando alla notizia della punizione esemplare una adeguata, ma probabilmente illecita (per lesione della riservatezza) pubblicità.

 

A tutto ciò si deve aggiungere che il provvedimento impugnato disattende completamente i tre pareri istruttori ed obbligatori raccolti nel corso del procedimento, della cui esistenza si limita a dare atto senza motivare le ragioni della diversa decisione.

 

Nei pareri si esalta la professionalità del maresciallo nei precedenti anni di servizio, il tempo trascorso dall’epoca dei fatti, l’ottima condotta da questi mantenuta successivamente ai fatti medesimi, la di lui preparazione ed abilità professionale, l’assenza di ulteriori pregiudizi per l’Amministrazione.

 

In altre parole nei tre pareri in questione si lascia intendere che la sospensione precauzionale dell’impiego non serviva ad alcunché.

 

Non a prevenire ulteriori reati non essendovi motivo di credere che il dipendente potesse ricadere nell’errore; non a ristabilire l’immagine del Corpo perché era ormai trascorso diverso tempo dai fatti e dalla risonanza che ad essi era stata data (ed un provvedimento punitivo preso a notevole distanza di tempo non necessariamente viene ben recepito dalla opinione pubblica); non a ristabilire un ambiente di lavoro sereno ed efficiente, dal momento che il militare era in grado di dare un apporto utile e che aveva reagito alla vicenda dimostrando senso del dovere e dignità personale.

 

Il provvedimento dell’amministrazione sconfessava però le proposizioni contenute nei pareri: anzitutto affermando il nocumento alla immagine del Corpo, senza peraltro indicare cosa avesse comprovato la persistenza della lesione alla attualità e per quale motivo il provvedimento, tardivamente assunto e che doveva in teoria rimanere riservato, poteva contribuire a ristabilire il decoro ed il prestigio del Corpo; asserendo che la persistenza in servizio del dipendente avrebbe compromesso l’andamento dell’operato della Amministrazione.

 

Insomma: il provvedimento conclusivo di un procedimento che si discosti da pareri obbligatori assunti nel corso della istruttoria deve essere motivato in maniera precisa e puntuale.

 

In particolare la motivazione che deve sostenere una simile decisione non può estrinsecarsi nella mera enunciazione di proposizioni contrarie a quelle contenute nei pareri obbligatori, dovendo l’autorità procedente esplicitare in maniera compiuta le ragioni per cui ritiene di doversi discostare dalle stesse.

 

 

 

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Letto 3651 volte Ultima modifica il Martedì, 06 Aprile 2021 17:44
Francesco Pandolfi e Alessandro Mariani

Francesco Pandolfi

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Francesco Pandolfi AVVOCATO

Lo studio Pandolfi Mariani è stato fondato dall’avvocato Francesco Pandolfi.

Egli inizia la sua attività nel 1995; il 24.06.2010 acquisisce il patrocinio in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori. Si è occupato prevalentemente di diritto amministrativo, diritto militare, diritto delle armi, responsabilità medica, diritto delle assicurazioni.

E' autore di numerose pubblicazioni su importanti quotidiani giuridici on line, tra cui Studio Cataldi e Mia Consulenza; nel 2018 ha pubblicato il libro "Diritto delle armi, 20 sentenze utili".

La sua Missione era e continua ad essere con lo studio da lui fondato: "aiutare a risolvere problemi giuridici".

Riteneva che il più grande capitale fosse la risorsa umana e che il più grande investimento, la conoscenza. Ha avuto l'opportunità di servire persone in tutta Italia.

I tratti caratteristici della sua azione erano: tattica, esperienza, perseveranza. coraggio, orientamento verso l'obiettivo.

Tutto questo resta, lo studio da lui fondato continua l’attività con gli avvocati e i collaboratori con i quali ha sempre lavorato nel corso degli anni e ai quali ha trasmesso tutte le sue competenze.

 

 

Alessandro Mariani Avvocato

data di nascita: 08/04/1972

 

Principali mansioni e responsabilità: 
Avvocato
Consulenza legale e redazione atti giudiziari per il recupero del credito (Decreto Ingiuntivo e Costituzione nelle opposizioni);
Attività giudiziale e stragiudiziale con apertura di partita iva ed iscrizione alla casa forense;
Iscrizione nell’Albo degli Avvocati stabiliti di Latina dal 26/4/2012.

 

 

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